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EUGENIO MONTALE - Coggle Diagram
EUGENIO MONTALE
Dall’avvento del fascismo alla Seconda guerra
mondiale
Trasferitosi nel 1927 a Firenze, trovò lavoro presso l’editore Bemporad, conobbe Drusilla Tanzi, cui si legò sentimentalmente, e strinse rapporti con Gadda, Vittorini, Palazzeschi, Gatto e Quasimodo, entrando a far parte del gruppo di “Solaria”.
Approfondì in questo periodo la lettura di Pound, Proust, Valéry, Kafka e, soprattutto, Eliot, riflettendo sul rapporto fra linguaggio quotidiano e linguaggio poetico e fra ispirazione
poetica e riflessione filosofica.
Sempre nel 1925 prese le distanze dal fascismo firmando il Manifesto degli intellettuali antifascisti
Nel 1929 ottenne la
direzione del Gabinetto Vieusseux, una delle più prestigiose istituzioni culturali fiorentine, da cui fu allontanato dieci anni dopo e sottoposto a regime di sorveglianza speciale dalle autorità fasciste.
Aveva intanto conosciuto la studiosa americana, di origini ebraiche, Irma Brandeis, cui si legò e che gli ispirò molte liriche della nuova raccolta Le occasioni (1939).
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale fu dapprima costretto a lavori saltuari (collaborazioni editoriali, traduzioni), poi, nel 1940, richiamato alle armi e infine congedato nel 1942.
Nel 1943 uscì la raccolta Finisterre, stampata in Svizzera per aggirare la censura stante il carattere polemico di diverse liriche. Furono anni dolorosi sotto il profilo personale: perse la madre e la sorella, e anche Irma, che tornò in America per evitare le persecuzioni razziali.
Montale fu tentato di seguirla, poi preferì rimanere a Firenze accanto a Drusilla, che aveva minacciato il suicidio.
Formazione culturale ed esordio poetico
Eugenio Montale nacque a Genova nel 1896 da famiglia borghese.
Diplomatosi in ragioneria nel 1915,rinunciò ad affiancare il padre nella ditta di famiglia e proseguì la sua formazione da autodidatta, approfondendo in particolare i poeti simbolisti francesi, i romanzi di Svevo e i filosofi Nietzsche e Schopenhauer.
Chiamato alle armi nel 1917, dopo la guerra frequentò i principali letterati di Genova e iniziò a pubblicare
(1922-23) le prime poesie, in cui prevale un senso di smarrimento di fronte ai misteriosi meccanismi che
governano l’esistenza umana.
Nel 1925 pubblicò la raccolta Ossi di seppia e il saggio Stile e tradizione, in cui prospetta un rinnovamento dall’interno della tradizione letteraria europea, in sintonia con le riflessioni dell’inglese Thomas Stearns Eliot.
Il secondo dopoguerra
Dopo un breve impegno politico, fra il 1944 e il 1946,
tra le file del Partito d’azione, nel 1948 si trasferì a Milano prendendo le distanze da ogni idelogia e preferendo una vita appartata.
A Milano collaborò con il “Corriere della sera”, conobbe la poetessa Maria Luisa Spaziani, pubblicò la raccolta di poesie La bufera e altro e le prose della Farfalla di Dinard (1956) e sposò Drusilla Tanzi (1962), che morì pochi mesi dopo.
Furono anni di prestigiosi riconoscimenti: la laurea in
lettere honoris causa (1961), il premio internazionale Feltrinelli dell’Accademia dei Lincei (1962), la nomina
a senatore a vita (1967), infine il premio Nobel (1975).
Nel frattempo andava pubblicando le ultime raccolte
di prose – Auto da fé (1966) e Fuori di casa (1969) – e di poesia – Satura (1971), Diario del ‘71 e del ‘72 (1973),
Quaderno di quattro anni (1977), Altri versi (1980) –. Morì nel 1981 a Milano ed ebbe l’onore dei funerali di
stato in duomo.
Il “correlativo oggettivo”
Di questa tecnica Montale è debitore in particolare a Eliot, ma anche a Proust, a Joyce e alla Woolf.
Il linguaggio poetico montaliano è, in generale, estremamente ricco e articola to: il poeta ha fra i suoi modelli Dante e gli stilnovisti,
Petrarca, Leopardi, fra gli italiani; Shakespeare, Donne, Browning, Baudelaire, fra gli stranieri.
Il “correlativo oggettivo” è la tecnica espressiva che
Montale utilizzò a partire dalle poesie inserite nella seconda edizione di Ossi di seppia (1928), per la quale
gli oggetti veicolano un senso ulteriore al di là del loro significato elementare; gli oggetti quotidiani divengono
epifanie che alludono a ciò che la sensibilità del poeta non riesce a esprimere altrimenti.
La funzione della poesia
Già nel saggio Stile e tradizione (1925) Montale, in
polemica con l’estetismo dannunziano e con lo sperimentalismo delle avanguardie italiane e francesi,
sosteneva la valenza morale e conoscitiva della letteratura, sull’esempio di Dante e Leopardi:
: il poeta è uomo «disincantato, savio e avveduto», chiamato a capire e a interpretare il presente.
Il “classicismo” montaliano
solo le forme della tradizione possono
assicurare alla scrittura la tenacia e la solidità necessaria per potersi far carico dei drammi dell’uomo
contemporaneo.
Montale stesso dichiarò nel 1946 di considerare il
classicismo una sorta di antidoto contro ogni eccesso di soggettivismo ed esagerazione sentimentale, per
assicurare alla poesia obiettività e resistenza al tempo e alle mode;
LE COSTANTI LETTERARIE