GIACOMETTI
In una lettera del 1947 Simone de Beauvoir scrive di Alberto Giacometti: «Ieri ho visitato casa sua: chiunque ne rimarrà spaventato. In un piccolo giardino dimenticato ha uno studio che annega nel gesso, e lui ci vive accanto in una sorta di capannone ampio e freddo senza mobili o cibo. I suoi abiti, le sue mani e i suoi capelli, spessi e arruffati, sono ricoperti di gesso».
Alberto Giacometti, «La clairière», 1950. Coll. Fondation Giacometti, Parigi. © Estate of Alberto Giacometti / Bildupphovsrätt 2019
Come ricorda il critico d’arte Luigi Marsiglia [Avvenire, 10 gennaio 2016], Beckett fece leggere a Giacometti il copione di Aspettando Godot, chiedendogli una consulenza su come organizzare lo spazio scenico. Nel racconto di Marsiglia si legge che: “Lo scultore sussurrò: «Toglierei quel ramo. È di troppo. Che ne pensi? ». Lo scrittore assentì: «Era ciò che ti volevo suggerire, di togliere quel ramo». Ma Giacometti si rimise a sedere: «Dobbiamo stare attenti. Non farmi fretta, ci devo pensare». Infine si rialzò, salì sul palco e cominciò a togliere tutti i rami, uno dopo l’altro, con Beckett che annuiva ad ogni passaggio. Conclusa l’operazione, restò soltanto il tronco dell’albero, spoglio e carico di ombre scure. Come una scultura filiforme di Giacometti.
Come Beckett nella scrittura e nella drammaturgia, anche Giacometti nel suo campo artistico della pittura e soprattutto della scultura appartiene alla “poetica del levare”: creativi “per sottrazione”, con l’obiettivo di denudare la condizione degli umani, per mostrarne la fragilità, l’instabilità:
In una prospettiva fenomenologica, come quella sviluppata da filosofi come Edmund Husserl e Maurice Merleau-Ponty, la nostra percezione.
La fenomenologia è una corrente filosofica che si concentra sull'esperienza vissuta, ovvero su come noi percepiamo e comprendiamo il mondo attorno a noi, non solo attraverso i sensi, ma anche attraverso il nostro vissuto personale e il nostro modo di essere. Quando applichiamo questo modo di pensare all'arte, l'opera non viene più vista come un semplice oggetto esterno, ma come qualcosa che provoca una reazione interiore
Maurice Merleau-Ponty, in particolare, vede l'esperienza del corpo e della percezione come centrale nella nostra comprensione del mondo. Quando guardiamo un’opera d'arte, non lo facciamo come esseri disincarnati, ma come soggetti incarnati, che percepiscono, sentono, e interpretano ciò che vedono attraverso la propria esperienza del mondo.w
l'arte è collegata da un unico filo conduttore che non è quello del linguaggio artistico, ma quello emotivo non legato alla soggettività della coscienza empirica ma tutto quello che trascende la coscienza
un'immersione profonda nella condizione umana, invita il lettore a riflettere sulla natura della propria esistenza, e sulla ineffabilità e fragilità della natura umana. Le opere di Giacometti e i testi di Beckett, sebbene espressi attraverso linguaggi diversi, si intersecano in un dialogo profondo sulla condizione umana, riflettendo l'assurdo, l'isolamento e la ricerca di significato in un mondo che spesso appare privo di risposte. Entrambi ci invitano a confrontarci con la nostra vulnerabilità
in cui il corpo esprime emozioni e stati d’animo,
Le sculture di Giacometti, spesso caratterizzate da proporzioni distorte e da una superficie irregolare, evocano una fragilità che richiama quella dei personaggi beckettiani. In opere come "L'uomo che cammina", la figura appare tanto potente quanto vulnerabile, sottolineando la precarietà dell'esistenza umana. Allo stesso modo, i protagonisti di Beckett vivono un'esperienza di fragilità, confrontandosi con l'incertezza e la solitudine. Entrambi gli artisti catturano la lotta dell'individuo per affermarsi in un mondo che sembra ostile e privo di risposte.
Nella scrittura di Beckett, i personaggi si trovano spesso bloccati in un ciclo di ripetizione e introspezione. Prendiamo, ad esempio, "Aspettando Godot", dove Vladimir e Estragon attendono invano un evento che non arriva mai. Questa attesa infinita diventa una metafora della vita stessa: un'esistenza priva di significato concreto, in cui i dialoghi vuoti e le azioni ripetitive riflettono l'assenza di scopo. Allo stesso modo, le figure di Giacometti, con i loro corpi allungati e vulnerabili. incarnando l’idea che la vita è un continuo tentativo di emergere da una condizione di isolamento.
Edmund Husserl e Maurice Merleau-Ponty: Giacometti esplora l'esperienza del corpo e la percezione della figura umana. Merleau-Ponty, in particolare, enfatizza l'importanza della corporeità nell'esperienza del mondo, un concetto che risuona fortemente nelle sculture di Giacometti, dove la presenza e l'assenza della figura sono rappresentate in modo quasi esistenziale. :
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Ermond Hussel definisce la Fenomenologia, come studio del fenomeno il quale non è soltanto un’apparenza ma la manifestazione in cui l’oggetto visita. Il fenomenologo è colui che guarda attraverso uno sguardo particolare. , quindi un’apparenza. Il fenomeno è un il discorso su ciò che appare, quindi non la cosa in sè ma il suo manifestarsi e consegnarsi a me. “Quindi non mi interessa ciò che la cosa è, ma il modo in cui la cosa si manifesta. la cosa non in sè, ma dal punto di vista associativo ( legami, connessioni, ricordi, anche i ricordi fanno parte di questo vissuto che agisce sulla coscienza). Questo mi ricorda... tiro una corda, non solo coscienza pura ma anche conoscenza, ciò che ho vissuto
Secondo Hussel : il soggetto che è in m. Il fenomeno nel momento che appare già muore. L'idea del fenome èTentare di salvare il fenomeno.. salvare vuol,dire ritenere, trattenere qualcosa che sta svanendo.
Errore di Cartesio: concezione dualistica cartesiana secondo la quale mente e cervello sarebbero due entità separate.
Ogni intuizione è una sorgente legittima di conoscenza. il primo sguardo.
l'oggetto c'è deve sgomberare per avere quella purezza dello sguardo.
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La forma allungata in modo innaturale, trasmette un senso di solitudine, a rimarcare la separazione tra gli individui, mette a nudo la debolezza e fragilità dell’essere umano.ci ricordano la vulnerabilità dell’essere umano di fronte all'ignoto e al vuoto.
man mano che raggiunge la somiglianza la testa si rimpicciolisce, laddove si avvicina alla verità, Sarte sono apparizioni interrogative il vuoto, il non senso. rapporto con la morte. fare sottile, in lui tutto è sottile come se contestasse lo statuto principe della scultura quello di essere monumentale, pesante presente. Giacometti diceva la scultura è come te può essere evanescente , scomparire, si può spezzare. escrescenze geologiche, stalagmiti. di solito è tornita. le sculture di Giacometti apparire quel tanto che basta che possono anche scomparire, alcune camminano verso il vuoto. orme di assenza, monumenti di assenza. Grande testa, il modellato tende a distruggere la figura e si arresta al limite di quella distruzione/ disfacimento. Mostre di Giacometti sono come delle foreste di alberi secchi, alberi autunnali. L'uomo che cammina e attraversa i vuoto anche con una certa titubanza. I suoi disegni/ dipinti sono associati ad un grande suo amico Becon due consanguinei, l'idea che il soggetto sia spillato come. Il risultato e anche il cancellare risultato che sembra bruciare. Palazzo vecchi Fontana/ Giacomentti: meteoriti che cadano dallo spazio, ghiacciato, con sculture che camminano come colui che non vuole calpestare rocce ardenti. Contrasto perfetto tra roccia tonda e roccia sottile. Fondazione Luis Vitton: connubio Rotko/ Giacometti tra le superfici vuote, i grandi portali dell'assenza e l'interrogatori dei portali dell'assenza, lui è l'uomo che interroga il vuoto, il non senso dell'esistenza Sarte a siamo soli e terrorizzati e cogliamo il non senso del mondo e chi più di Rotko ti può dare una meraviglosa non risposta un accoglimento della domanda una risposta nascosta. allestimenti fantastici.
Giacometti, Bacon, Freud e López, pur con linguaggi e stili diversi, condividono la convinzione che il corpo umano rimanga un luogo di resistenza contro le forze disumanizzanti del mondo moderno. In un secolo segnato da guerre, alienazione e la perdita di significato, questi artisti non hanno abbandonato la rappresentazione del corpo, ma l'hanno esplorata in tutta la sua fragilità, vulnerabilità e complessità.
L'irrapresentabilità del corpo umano, che potrebbe sembrare inevitabile in un mondo sempre più astratto e disumanizzato, viene sfidata da questi artisti, che dimostrano come il corpo rimanga un testimone potente dell'esperienza umana. Attraverso la loro arte, riaffermano che l'essere umano, con tutte le sue imperfezioni, vulnerabilità e sofferenze, non può essere cancellato o ridotto a semplice oggetto. Il corpo è il luogo dell'esistenza, un simbolo di resistenza e sopravvivenza contro l’"inumano" del mondo moderno.
Artisti come Alberto Giacometti, Francis Bacon e Lucian Freud, così come pensatori come Merleau-Ponty o Heidegger, hanno cercato di mantenere il focus sull’essere umano come centro dell'esperienza e della realtà, esplorando la fragilità, la sofferenza, ma anche la dignità intrinseca della condizione umana.
Rappresentando il corpo nelle sue forme più vulnerabili, o esplorando il senso dell'esistenza nel mondo, questi artisti e filosofi riaffermano l'importanza dell'esperienza soggettiva e della centralità dell'essere umano, opponendosi alle dinamiche disumanizzanti della modernità.
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La fenomenologia è una corrente filosofica nata agli inizi del XX secolo e sviluppata da Edmund Husserl, il suo fondatore, e poi ampliata e reinterpretata da molti altri filosofi come Martin Heidegger, Maurice Merleau-Ponty e Egon Schiele (che, pur essendo principalmente un artista, ha portato nella sua arte idee legate a questa filosofia).
La fenomenologia si concentra principalmente sullo studio dell'esperienza soggettiva, ossia su come i fenomeni si manifestano alla coscienza umana, prima di ogni concettualizzazione o teoria. È un ritorno "alle cose stesse", a ciò che si presenta direttamente alla nostra coscienza, prima di ogni mediazione scientifica o astratta.
- Edmund Husserl: Il Fondatore della Fenomenologia
Epoché e riduzione fenomenologica: Husserl introduce il metodo dell’epoché, ossia la sospensione del giudizio . Attraverso la riduzione fenomenologica, si mette tra parentesi ogni pregiudizio per concentrarsi solo su come i fenomeni appaiono alla coscienza, cercando di cogliere le essenze delle cose, cioè le loro caratteristiche fondamentali che si presentano alla nostra coscienza.
La nostra esperienza non è mai puramente passiva, ma attivamente organizza, interpreta e dà significato a ciò che percepiamo.
- Martin Heidegger: Fenomenologia Esistenziale
Martin Heidegger (1889-1976), uno degli studenti di Husserl, ha preso la fenomenologia in una direzione diversa, sviluppando un approccio esistenzialista. La sua opera principale, "Essere e tempo" (1927), utilizza la fenomenologia per analizzare la condizione umana in termini di essere-nel-mondo. Alcuni concetti chiave di Heidegger includono:
Essere-nel-mondo: per Heidegger, l’essere umano (che egli chiama "Dasein") non è un osservatore distaccato, ma è sempre già immerso nel mondo. L’esistenza non è separata dal mondo, ma si trova in un rapporto costante con esso, attraverso il corpo, il linguaggio e l'interazione con gli altri.
Heidegger sposta l’attenzione dalla coscienza individuale di Husserl al problema dell'essere e del nostro rapporto esistenziale con il mondo, introducendo il concetto che l'esperienza umana è sempre legata alla nostra condizione finita e temporale.
- Maurice Merleau-Ponty: Il Corpo e la Percezione
Maurice Merleau-Ponty (1908-1961) è uno dei maggiori esponenti della fenomenologia del XX secolo, e la sua opera si concentra principalmente sulla percezione e sul ruolo del corpo nell’esperienza umana. La sua opera principale, "Fenomenologia della percezione" (1945), sviluppa una fenomenologia incarnata, in cui il corpo gioca un ruolo centrale.
Merleau-Ponty sostiene che il corpo è il soggetto primario dell’esperienza: non ci limitiamo a percepire il mondo con la mente, ma lo percepiamo attraverso il corpo. Il nostro corpo non è un semplice oggetto tra altri oggetti, ma è il mezzo attraverso il quale abbiamo un accesso al mondo.
Corpo vissuto: Merleau-Ponty parla di corpo proprio o corpo vissuto ("corps propre"), cioè il corpo non come semplice oggetto fisico, ma come la nostra esperienza incarnata, il nostro modo di vivere il mondo. Il corpo è un soggetto percepente, non un’entità separata dalla mente
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A differenza della tradizione filosofica cartesiana, che vede il corpo come separato dalla mente (dualismo mente-corpo), Merleau-Ponty sostiene che noi siamo corpo, e il corpo non è solo una cosa tra le altre cose, ma è il nostro modo di essere-nel-mondo.
Il corpo non è semplicemente un oggetto che possediamo, ma è ciò che ci permette di avere un punto di vista, di percepire e di agire nel mondo. Merleau-Ponty lo definisce corpo vissuto o corpo proprio ("corps propre"), un corpo che è inseparabile dalla nostra coscienza.
Per Merleau-Ponty, il corpo è incarnato nel mondo, e la nostra relazione con il mondo non è di osservatori distaccati, ma di esseri che vivono il mondo attraverso il loro corpo.
Questo alienamento fenomenologico è centrale nell’opera dell’artista: l’uomo è un essere che cerca di affermarsi in un mondo che lo riduce, che lo minaccia, che lo mette in discussione. La figura umana, nelle sue opere, è sempre in lotta per mantenere la propria presenza, per resistere al vuoto e alla disgregazione.
. Le sue figure fragili e allungate, lo spazio vuoto e il movimento sospeso diventano metafore della condizione umana: l’essere è fragile, vulnerabile, sempre in bilico tra presenza e assenza, tra il mondo e l’altro
Le opere di Giacometti sembrano intrappolate in un momento sospeso, un presente continuo che riflette l'idea fenomenologica del tempo come esperienza vissuta. il temposembra congelato in un attimo di esistenza. L'uomo che cammina è bloccato in un eterno presente, sospeso tra il passato e il futuro. Questo suggerisce un senso di attesa, di transitorietà,.
il movimento non è un mezzo per raggiungere qualcosa, ma è l’essenza stessa dell’esistenza. L’uomo cammina nel vuoto, in uno spazio indefinito, simbolo di un’esistenza priva di certezze, ma comunque in cammino, sempre alla ricerca di significato.
Una delle caratteristiche principali delle sculture di Giacometti, come "L'Homme qui marche", è la riduzione della figura umana a una forma scheletrica e filiforme, quasi disgregata. Questa riduzione all'essenziale è centrale in un'analisi fenomenologica: Giacometti sembra voler andare oltre la mera apparenza fisica per cogliere l'essenza stessa dell'essere umano.
Per Giacometti, l’uomo è un essere fragile, precario, e sempre sul punto di dissolversi. Le figure che rappresenta non sono solo corpi, ma esistenze ridotte alla loro essenza, che sembrano sfidare la pesantezza e la solidità della materia per farsi quasi evanescenti. L’artista cattura l’essere umano nel suo continuo sforzo di mantenere la propria presenza nel mondo, nonostante la sua costante minaccia di scomparire
Il camminare diventa quindi una metafora dell'esistenza. Ogni passo rappresenta un atto di resistenza contro il vuoto, un tentativo di avanzare nonostante l’incertezza e la vulnerabilità. È l’atto del camminare stesso, più che la destinazione, che diventa il fulcro dell’esperienza fenomenologica: l’uomo cammina perché questo è l’unico modo per affermare la propria esistenza in un mondo in cui tutto sembra dissolversi.
Il corpo dell'uomo che cammina è allungato e filiforme, quasi scheletrico, come se fosse ridotto all'essenza del movimento.l corpo esprime la vulnerabilità e la fragilità dell'esistenza. L’uomo di Giacometti non è un corpo pieno e vigoroso, ridotta all'osso, una presenza che sembra svanire
La figura sembra sfidare la solidità dello spazio che occupa, apparendo come una traccia leggera che potrebbe sparire in qualsiasi momento.
il costante movimento e la ricerca di senso in un mondo che spesso sembra privo di esso. L'uomo che cammina rappresenta ogni individuo che, nonostante la precarietà della propria condizione, avanza nell'esistenza, alla ricerca di un significato che non può mai essere pienamente raggiunto.
L'albero, quindi, non è solo un elemento scenografico, ma diventa parte del messaggio filosofico dell'opera: è un simbolo muto, che si fa carico del peso dell’attesa infinita, della sospensione, dell’incertezza. Come le figure di Giacometti, è lì, presente nel mondo, ma quasi invisibile nella sua fragilità, testimonianza silenziosa del passare del tempo e dell’assenza di risposte definitive.
In Aspettando Godot, l’albero è l’unico elemento naturale in una scena altrimenti vuota, priva di punti di riferimento concreti. Questo albero spoglio e senza foglie, rappresenta la desolazione del paesaggio, ma anche una metafora della condizione esistenziale dei personaggi, Vladimir ed Estragon, che passano la loro vita in attesa di qualcosa (o qualcuno) che forse non arriverà mai.
Nelle mani di Giacometti, l’albero diventa una presenza minimale, ridotta all'essenziale, proprio come le sue celebri figure filiformi. Non ha rigoglio né vitalità, ma è piuttosto una forma scheletrica che richiama la fragilità e l'impermanenza. Come le sue sculture, l'albero di Giacometti sembra sul punto di scomparire, un residuo di vita che resiste a malapena al vuoto circostante. È fragile, scheletrico, eppure centrale nella scena, come un’ancora visiva e metaforica nell’indeterminatezza dell'attesa
L'albero di Giacometti in Aspettando Godot rappresenta una perfetta fusione tra due visioni artistiche profondamente complementari: quella di Giacometti, con la sua ossessione per l'essenza dell'esistenza umana, e quella di Beckett, con il suo teatro dell’assurdo, dominato dall'attesa e dalla vacuità dell'esperienza umana.
Anche se sembrano ridotte all’essenziale, quasi come se fossero corrose dal tempo o dal vento, emanano una forza che sfida la propria debolezza.
Il teatro dell'assurdo si sviluppa in un periodo storico caratterizzato da una profonda crisi esistenziale e intellettuale, con la perdita di fiducia nelle strutture tradizionali di significato come la religione, la politica e la cultura. Dopo due guerre mondiali e l'orrore della Shoah, molti intellettuali sentivano che l'esperienza umana fosse dominata dall'assenza di senso, in un mondo dove le certezze morali e filosofiche erano crollate.
Dialoghi frammentati e ripetitivi: I personaggi parlano spesso in modo confuso o disarticolato, con battute ripetitive e banali, che riflettono la difficoltà di comunicare e di trovare un senso condiviso.
Simbolismo e metafore esistenziali: Le ambientazioni e i personaggi possono essere simbolici. Il vuoto, l’immobilità e l’attesa diventano metafore per l’esperienza umana e per l’assenza di significato nella vita.
L'opera è divisa in due atti e racconta la storia di due vagabondi, Vladimiro (Didi) e Estragone (Gogo), che aspettano invano l'arrivo di una misteriosa figura chiamata Godot, che promette di dare loro delle risposte o di salvarli.
L'attesa senza fine: L'intero dramma è costruito attorno all'idea di attesa. Vladimiro ed Estragone attendono Godot, ma egli non arriva mai. Questa attesa rappresenta simbolicamente l'attesa di un significato che non giunge mai, il tentativo di trovare un senso nella vita che resta irraggiungibile.
Dialoghi assurdi e circolari: I dialoghi tra Vladimiro ed Estragone sono spesso ripetitivi, privi di contenuto significativo, e vagano tra riflessioni banali e momenti di silenzio. I due personaggi cercano di riempire il vuoto del tempo con discorsi senza senso, che riflettono l’incapacità dell'uomo di trovare risposte definitive.
l non-senso dell'esistenza: L'intero dramma ruota attorno a una condizione di immobilità e ripetizione. Anche quando i personaggi cercano di agire o di prendere decisioni, come andarsene, non riescono a farlo
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Aspettando Godot" è un’opera che espone le problematiche più profonde della condizione umana: l'attesa di un senso che non arriva, la solitudine, la difficoltà di comunicare e l’alienazione in un mondo privo di risposte. Il teatro dell’assurdo, attraverso i suoi dialoghi circolari, l’immobilità e la ripetizione, ci mostra un mondo in cui l'uomo è costretto a confrontarsi con l'assurdo della propria esistenza, senza una via d'uscita.
Il teatro dell'assurdo si sviluppa in un periodo storico caratterizzato da una profonda crisi esistenziale e intellettuale, con la perdita di fiducia nelle strutture tradizionali di significato come la religione, la politica e la cultura. Dopo due guerre mondiali e l'orrore della Shoah, molti intellettuali sentivano che l'esperienza umana fosse dominata dall'assenza di senso, in un mondo dove le certezze morali e filosofiche erano crollate.
L'esistenzialismo è un movimento filosofico e letterario del XX secolo che pone al centro della riflessione la condizione umana, concentrandosi su temi come la libertà individuale, l'angoscia, la scelta e il significato dell'esistenza. l'esistenzialismo fiorisce dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando molti intellettuali cercano di comprendere l'alienazione, il disorientamento e la perdita di valori che hanno caratterizzato il mondo moderno.
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La libertà radicale porta con sé l'angoscia (o "ansia esistenziale"). Non ci sono guide o autorità esterne che possano dirci cosa fare, e questa consapevolezza può essere travolgente. Kierkegaard ha esplorato l'angoscia come il sentimento di fronte alla possibilità di scelta. Sartre usa il termine "nausea" per descrivere il senso di smarrimento e disorientamento che l'uomo prova di fronte alla consapevolezza del nulla, del fatto che la vita, in sé, non ha alcun senso prestabilito.
Il nulla: Un tema centrale nell'esistenzialismo è la riflessione sul "nulla". L'essere umano è l'unico ente capace di confrontarsi con il nulla, poiché è in grado di riconoscere che la sua esistenza non ha un significato oggettivo o trascendentale. Sartre, nella sua opera "L'essere e il nulla", descrive il nulla come ciò che l’uomo affronta quando si rende conto che non esiste un piano divino o una giustificazione ultima per la sua esistenza.
L'assurdo: Molti esistenzialisti, tra cui Albert Camus, parlano del "senso dell’assurdo" per descrivere la condizione dell'uomo che cerca un significato in un mondo che è indifferente o privo di senso. In particolare, Camus descrive l'esperienza dell'assurdo nel suo celebre saggio "Il mito di Sisifo": l’uomo è come Sisifo, costretto a spingere un masso su per una montagna solo per vederlo rotolare giù, in un ciclo infinito e senza significato. Tuttavia, Camus sostiene che l'uomo deve accettare l'assurdità della vita e continuare a vivere con passione e ribellione.
L'esistenza precede l'essenza: Una delle affermazioni più celebri dell'esistenzialismo, soprattutto attraverso le opere di Jean-Paul Sartre, è che l'uomo esiste prima di essere. Non c'è un progetto prestabilito o un'essenza definita prima della nascita dell'individuo; l’essere umano è libero e responsabile di costruire se stesso attraverso le sue scelte. A differenza di una visione metafisica che suggerisce che ogni cosa abbia una natura o uno scopo predefinito, l’esistenzialismo afferma che l'uomo deve dare senso alla sua esistenza attraverso le azioni.
Libertà e responsabilità: Per l'esistenzialismo, l'uomo è radicalmente libero. Non esiste un destino o una forza superiore che determini le sue azioni; ogni persona è sola di fronte alle proprie scelte. Questa libertà assoluta comporta una grande responsabilità, poiché ogni decisione determina non solo la vita dell'individuo, ma contribuisce anche a definire un'immagine universale dell'essere umano.
un’esperienza mistica, immergendosi nel silenzio dello spazio e chiudendosi nella contemplazione lirica di un’arte pura.
Study after Velázquez’s Portrait of Pope Innocent X (1953; olio su tela, 153 x 118 cm; Des Moines, Des Moines Art Center)
Le figure di Giacometti sono il simbolo della condizione esistenziale moderna, fragili, solitarie e alienate, ma comunque in lotta per affermare la loro presenza nel mondo. Questi corpi sottili e allungati sono testimonianza di un'esperienza di disgregazione e dissoluzione, ma al contempo di una resistenza eroica contro la scomparsa, una lotta per trovare un senso in un universo che sembra privo di risposte.
figure di Alberto Giacometti sono immediatamente riconoscibili per il loro aspetto sottile, appaiono esili e filiformi, come se fossero plasmate dal tempo, dall'aria stessa, corrose come rocce erose dal tempo o dal vento. Un corpo privo di dettagli supelflui, ridotto all'essenziale, trasmettono l'idea di un essere ridotto quasi ad un ombra., come se fosse sul punto di scomparire, di dissolversi. Questo ridurre il corpo a un'essenza sottile e quasi spirituale non toglie umanità alle figure, ma anzi la amplifica: nella loro fragilità, esse ci ricordano la vulnerabilità dell’essere umano di fronte all'ignoto e al vuoto. pur nella loro fragilità, riescono a imporre una presenza persistente. Le sue figure filiformi, con il loro aspetto fragile e distorto, rappresentano l'uomo che si confronta con l'assurdità dell'esistenza e con il non senso del mondo. creando figure che, come noi, cercano senso in un mondo ostile e indifferente. Esse interrogano lo spazio intorno a loro e lo spettatore, ponendo domande senza risposte, come se fossero testimoni silenziosi della solitudine e dell'alienazione che definiscono l'esperienza umana moderna.
Rothko risponde a questa condizione non offrendo una risposta concreta, ma un luogo di accoglienza per la domanda. Il suo vuoto non è minaccioso, ma è come una grande stanza silenziosa che ti invita a stare, a contemplare la domanda
il vuoto è un luogo di accoglimento, un’immensa cavità silente che invita alla contemplazione e al silenzio interiore,
**Ogni passo rappresenta un atto di resistenza contro il vuoto,*.
la tela sembra sussurrare che non esiste risposta definitiva, che il senso non può essere afferrato razionalmente, ma solo esperito nel momento di apertura verso il nulla. Rothko crea spazi che, come portali, ci conducono verso la dimensione dell'indeterminato, dove il significato si cela e si dissolve allo stesso tempo.
Mark Rothko e Alberto Giacometti che proponi apre un dialogo profondo sul tema del vuoto e dell'assenza, due concetti centrali per la comprensione della condizione esistenziale nell'arte del XX secolo, fortemente influenzata dall’esistenzialismo di pensatori come Jean-Paul Sartre.
A differenza dell?esile figura di Giacometti, la figura di Boccioni è una figura poderosa, energica, che si espande nello spazio, che si fonde con lo spazio circostante proiettato, che incede con fare deciso verso il futuro. Le superfici lucide del bronzo,La forma frammentata ondulate concave e covesse. fluiide. Monumentale e potente., contorni irregolari, una sequenza di curve ora concave ora complesse. , non limitano la figura ma la dilatano nello spazio
Il movimento è lento, quasi faticoso, la figura sembra avanzare con difficoltà