Le pluralità geometriche

Fino alla seconda metà del XIX secolo si attribuiva comunemente alla geometria una posizione privilegiata, in quanto si riteneva che essa potesse prescindere dall’esperienza ed avesse una valenza oggettiva. Essa, cioè, era considerata una “scienza sintetica a priori”.

Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento questa concezione della geometria fu messa in discussione dalla distinzione di Herman von Helmholtz tra geometria fisica (scienza sperimentale che utilizza gli strumenti matematici per misurare lo spazio nella sua concretezza) e geometria pura (scienza assiomatica che utilizza la logica formale per trattare entità astratte)

A partire da questa distinzione prese avvio l’elaborazione di modelli geometrici molto diversi tra loro, generalmente definiti geometrie euclidee

A partire dalle osservazioni di Gauss, il russo Lobacevskij e il polacco Bolyai elaborarono la geometria “iperbolica”,secondo la quale la somma degli angoli interni di un triangolo è minore di 180 gradi e, dati una retta r è un punto P esterno ad essa, esistono almeno due rette passanti per P e parallele ad r (e non una soltanto, come diceva il quinto postulato di Euclide)

Al tedesco Riemann si deve invece la geometria “ellittica” che prevede che la somma degli angoli interni di un triangolo sia maggiore di 180 gradi e che, in generale, non esistano rette parallele tra loro

Il matematico tedesco Hilbert introduce invece la geometria “assiomatica”, che prescinde da ogni caratterizzazione iniziale dei concetti primitivi della geometria (punti, rette e piani) e si concentra invece sulle relazioni intercorrenti tra questi concetti individuate dagli assiomi

Il problema dei fondamemti

La crisi della geometria euclidea coincide con l’emergere del cosiddetto “problema dei fondamenti”, dal momento che proprio la geometria era stata considerata per oltre due millenni la solida base di tutto l’edificio del sapere scientifico

Nella ricerca di un nuovo fondamento della scienza possiamo individuare tre indirizzi distinti

L’intuizionismo, radicalmente anti-logicistico , basato sulle ricerche di Brouwer, il quale, in una prospettiva essenzialmente kantiana, pone l’intuizione a fondamento di tutta la matematica. A partire dall’intuizione gli enti matematici si costruiscono mediante una serie di operazioni, e sono presenti solo nella mente. Il linguaggio e la logica sono costruzioni successive rispetto a tale matematica interiore, dunque non possono svolgere alcun ruolo fondativo.

Il formalismo, introdotto da Hilbert attraverso la metà-matematica o “teoria della dimostrazione”, volta a dimostrare la coerenza della matematica, dal momento che essa non è totalmente riconducibile alla logica. Per Hilbert i procedimenti matematici sono espressi attraverso attraverso un numero limitato di segni e governati da un numero ristretto di regole, che partono da una serie minima di assiomi. La coerenza della matematica risiede dunque nel suo linguaggio formalizzato, con cui coincide

Il logicismo, che prevedeva la riduzione del numero alla logica, e i cui massimi esponenti furono Russel e Frege. La riduzione del numero all’estensione del concett (cioè all’ampiezza delle classi degli oggetti che vi corrispondono) proposta da Fredge era stata analizzata da Russel, il quale aveva rilevato che essa dava luogo ad un’antinomia. Definendo le classi che non contengono se stesse “normali” e quelle che contengono se stesse “non normali”, Russel aveva infatti osservato che la classe delle classi normali si rivela antinomica: se è normale, deve contenere de stessa e quindi è non normale; invece se è non normale, non deve contenere se stessa, e quindi è nromale. Russel tentò una risoluzione radicale del problema delle antinomie attraverso la “teoria dei tipi”, in base alla quale le classi, per essere “consistenti” e dunque valide, devono essere costituite da elementi omogenei, ovvero appartenenti al medesimo livello logico. Questo espediente bandiva tuttavia dalla matematica alcuni procedimenti utili alla sua stessa fondazione, e creava nella sua stessa struttura alunni vuoti colmabili soltanto facendo ricorso a postulati ad hoc.

Essi hanno la loro precondizione nel “riduzionismo aritmetico”, ovvero il tentativo di ridurre e ricondurre tutta la matematica non più alla geometria euclidea, bensì all’aritmetica. Già con Cartesio la geometria era stata ricondotta all’algebra. Per poter completamente fare a meno della geometria era necessario un ulteriore passo: sostituire al “calcolo dei segmenti” cartesiano un vero e proprio calcolo numerico, fondato su una definizione del numero che che risultasse indipendente da qualunque intuizione di tipo geometrico. La difficoltà principale di questo tipo di operazione era quella di fondare la definizione dei numeri reali su quella dei numeri razionali.

A contribuire all’opera di riduzionismo furono

Cantor, che con la sua teoria insiemistica affermò che il numero non va ricondotto all’attività del contare, ma alla potenza o cardinalità di un insieme. Ciò è valido, oltre che per i numeri naturali, anche per i numeri transfiniti, richiamando con questo termine l’infinito “potenziale” (il fatto che per qualsiasi numero naturale è sempre possibile individuarne uno maggiore)

Peano, che si propose di derivare i numeri naturali da tre concetti primitivi (numero, uno e successore), alle cui definizioni aggiunse cinque assiomi (vedi pag. 221), definendo così, più che il numero stesso, la struttura dei numeri naturali

Dedekind

I teoremi di Godel

Nel 1931, contemporaneamente agli studi di Hilbert, il logico austriaco Godel elabora i suoi due “teoremi dell’incompletezza”

1) se un sistema pretende di costruirsi, con una scelta opportuna di assiomi, in modo tale da dimostrare la propria non-contraddittorietà, diventa incoerente (di ogni sua formula è possibile dedurre anche la negazione)

2) se un sistema sceglie di salvare la propria coerenza interna risulta essenzialmente incompleto (esiste almeno una sua formula indecidibile, ovvero di cui non si può dimostrare se è vera o falsa)

Con questi due teoremi Godel aveva dimostrato l’impossibilità di dimostrare la coerenza e insieme la completezza dell’aritmetica, negando dunque il programma di Hilbert

La portata dei due teoremi nell’ambito della magematica si può paragonare a quella della Critica della ragion pura per la teoria della conoscenza, in quanto i due teoremi ripropongono il concetto del limite, alla base del criticismo