La natura in Montale. Ossi di seppia è, come Alcyone, un libro marino, ma nella raccolta di Montale non resta nulla dell'esuberante vitalistica ideologia dannunziana. Il panismo dannunziano rappresentava la possibilità non solo di un accordo tra uomo e natura ma di una loro reciproca compenetrazione e fusione nell'unità mistica del tutto. Nel componimento di Montale Non chiederci la parola invece il paesaggio è rievocato indirettamente attraverso il confronto tra la condizione di incertezza dell'uomo e immagini prive di tratti vitali o sensuali. I soli elementi che lo compongono sono: un prato polveroso, tipico delle periferie cittadine, un muro scalcinato, i rami secchi e contorti degli alberi. Il paesaggio, dunque, è arido e squallido non ha niente della sensualità lussureggiante di quello dannunziano. Siamo lontani anche dal fascino e dal mistero della natura che si riscontrano nella poesia pascoliana. Ci troviamo piuttosto nei prati desolati delle periferie cittadine, cari ai crepuscolari ma senza l'ironia e il languore di questi poeti. La dimensione interiore è quella della privazione, dell'infermità, della scissione rinvia a una situazione di squallore e di sdoppiamento riscontrabili nei romanzi e nei racconti di Pirandello. In Spesso il male di vivere ho incontrato il «rivo strozzato» è una delle tre immagini attraverso le quali Montale fissa il mare di vivere. Il participio, messo in rilievo al centro del verso 2, crea una sorta di corto circuito per la rima con «stramazzato», che chiude la prima quartina, e «levato» a conclusione della poesia. L'umanizzazione del rivo è espressa proprio dalla parola strozzato, di origine germanica: l'azione di strozzare infatti implica l'occlusione violenta e volontaria delle vie respiratorie. Un rivo strozzato è un corso le cui acque non defluiscono verso la loro destinazione naturale a causa di un ostacolo e per questo gorgogliano.