Shinjuten no Amijima (double suicide, 1969), diretto da Shinoda Masahiro, uno dei maggiori cineasti del Nuovo Cinema giapponese degli anni 70. L'uso del bianconero e di un formato standard, condivide un approccio legato alla modernità. I protagonisti una geisha, Koharu, e un mercante Kihei, sposato e con figli. La sua mancanza di di denaro., che gli impedisce di riscattare la donna, viene così a trovarsi in un vicolo cieco, che spingerà la coppia a togliersi la vita con un doppio suicido per amore. La dimensione metatestuale del film è esplicitata sin dalla sei prime battute. La presenza dei kuroko e delle funzioni (assistenti che sul palcoscenico dei kabuki, hanno l compito di sistemare gli oggetti di scena e di aiutare gli attori a cambiare il costume) sono presenti sul piano intradiegetico; lavoro del montaggio accentua certi snodi. L'antidirezionale uso dei kuroko come elementi agenti in modo determinati della genesi del film: aiuta il falso samurai a legare le mani a Jihei. La dimensione scenografica, si muove sull'opposizione tra realtà e finzione. Il film usa arredi che ricostruiscono in modo convenzionale i tradizionali ambienti del film, dall'altra vi introduce elementi astratti, disegni di figure umane stilizzate, giochi di linee e superfici, che, dipinte sui fondali o sui pavimenti, contraddicono esplicitamente la componente realistica. Secondo il regista, le scenografie sono state usate per il conflitto tra giri e ninjo, concetti centrali della cultura giapponese, alla storia del kabuki e del bunraku, dove col primo dei due termini si intende il dovere, e col secondo il sentimento. La limpidezza (secondo Shinoda) della gestualità, le frequenti inquadrature che ci mostrano Kihei, Koharu e Osan (la moglie), al mila delle traverse di legno, sembrano ingabbiarli, indicano il giri, mentre le immagini sempre molto mosse e disegnate intorno alle persone sono il ninjo, che nel film passano attraverso con un erotismo particolare. L'uso di codici molto accentuati, come quella dei loro corpi senza vita, esprimono la loro oppressione, l'uso del rallentato e dei fermofotogrammi, come nella scena di Kihei disperato. Il tutto all'insegna di una strategia testuale che ripensa e ripropone del teatro classico giapponese.