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L’IMPRONTA IDRICA DELL’UMANITÀ - Coggle Diagram
L’IMPRONTA IDRICA DELL’UMANITÀ
La gran parte dell’acqua che usiamo non serve per bere, lavarci, sciacquare i piatti o innaffiare le piante, bensì per produrre il cibo che mangiamo, i vestiti che indossiamo e tutti gli altri beni materiali che fanno parte della nostra vita quotidiana.
L’acqua dolce è la nostra risorsa naturale più preziosa
Molto spesso non siamo consapevoli dell’enorme quantità di acqua che consumiamo – e talvolta sprechiamo – per soddisfare le nostre necessità,
Coltivare un’arancia, ad esempio, richiede circa 50 litri d’acqua, mentre per fabbricare un paio di jeans possono servirne fino a 8.000 litri
Per svelare il consumo di risorse idriche nella produzione e nel commercio dei beni materiali, il geografo inglese John Anthony Allan coniò nel 1993 il concetto di acqua virtuale
Nel 2002 , un esperto di gestione delle acque dell’Università nei Paesi Bassi, perfezionò questo concetto definendo l’impronta idrica come la quantità di acqua dolce impiegata per produrre beni e servizi.
L’impronta idrica può indicare il consumo di acqua dolce da parte di un individuo, di una comunità di persone, di un’intera popolazione o di un sistema produttivo.
Il Water Footprint Network esorta anche le aziende a fare la loro parte, evitando anzitutto gli sprechi d’acqua nei processi produttivi e ogni forma di inquinamento delle risorse idriche.
Secondo gli esperti si potrebbe garantire una maggiore trasparenza se l’impronta idrica dei prodotti in commercio fosse riportata in etichetta. Non è semplice da realizzare perché l’etichettatura richiede accordi internazionali, ma si potrebbe cominciare dai prodotti con una maggiore impronta i
Non è semplice da realizzare perché l’etichettatura richiede accordi internazionali, ma si potrebbe cominciare dai prodotti con una maggiore impronta idrica, come il cotone, il riso o lo zucchero.
Pur essendo gesti importanti, con concreti vantaggi economici e ambientali,
Sebbene un impiego più sostenibile delle risorse idriche necessiti di interventi strutturali nei settori economici che consumano più acqua, a partire dall’agricoltura e dall’industria, anche i nostri comportamenti individuali possono contribuire a preservare di questa preziosa risorsa.
occorre però ricordare che l’impronta idrica indiretta è molto maggiore e dipende soprattutto dalle nostre scelte alimentari e di consumo.
Coltivare una mela, per esempio, richiede circa 70 litri d’acqua, l’equivalente di una doccia, mentre per un hamburger di manzo da 150 grammi servono circa 2.400 litri d’acqua, pari alla capacità di 16 vasche da bagno.
Per aumentare la consapevolezza dei consumatori, il Water Footprint Network ha realizzato una pagina interattiva che consente di confrontare l’impronta idrica dei diversi alimenti. In ogni caso, la carne ha sempre un’impronta idrica di gran lunga maggiore rispetto alla verdura,
che in media può essere coltivata con appena 300 litri al chilogrammo. La carne non è però l’unico alimento che consuma grandi quantità di risorse idriche.
Produrre un chilogrammo di caffè tostato, per esempio, richiede quasi 19.000 litri di acqua dolce e una sola tazzina ne sottrae all’ambiente 130 litri.
Peggio ancora avviene con le fave di cacao da cui si ricava il cioccolato, che hanno un’impronta idrica di 20.000 litri al chilogrammo.
Calcola la tua impronta idrica
Si usano due strumenti interattivi: nel primo, più semplificato, basta inserire il Paese in cui si vive, il tipo di dieta e il reddito annuale per farsi un’idea dell’acqua richiesta dal nostro stile di vita.
Sul sito web del Water Footprint Network è possibile stimare la propria impronta idrica