3) L’ascesi: sebbene implichi una forma di vittoria sull’egosimo, la morale rimane pur sempre attaccata alla vita. La strada per una liberazione totale dell’essere umano non soltanto dall’egoismo, ma dalla stessa volontà di vivere, va identificata nell’ascesi. Essa nasce dall’orrore per la volontà di vivere, e si configura come una sorta di tecnica attraverso cui l’individuo si allena a cessare di volere la vita e il volere stesso, attraverso l’astensione del piacevole e la ricerca dello spiacevole, l’espiazione e la macerazione della scelta. Il primo grado dell’ascesi è la castità perfetta, che libera dall’impiulso alla sessualità e alla generazione. Seguono la rinuncia ai piaceri, l’umiltà, il digiuno, la povertà, il sacrificio e l’automacerazione. Dal momento che per Schopenhauer il Wille (volere) è infinito e unico, attraverso l’ascesi di un solo individuo l’intero mondo può essere redento.
La soppressione della volontà di vivere è inoltre l’unico vero atto di libertà che sia concesso all’uomo. L’individuo, come fenomeno, è inevitabilmente soggetto al proprio carattere e agli eventi contingenti che si trova a vivere. Ma quando riconosce la volontà come cosa in sè, si sottrae ai fattori che agiscono su di lui quale fenomeno. La coscienza del dolore come essenza diviene dunque un “quietativo” del volere.
Se per i cristiani l’ascesi si conclude con l’estasi, cioè con la totale unione con Dio, il misticismo ateo di Schopenhauer trova sua conclusione nel nirvana buddista, ovvero nell’esperienza del nulla. Non si tratta però del niente, ma del nulla relativo al mondo, cioè una negazione del mondo stesso: se il mondo è nulla, il nirvana allora è un tutto in cui le nozioni di soggetto e oggetto si dissolvono.
L’ascesi costituisce la parte più debole e contraddittoria del sistema schopenhaueriano, e il fatto che il filosofo non abbia mai intrapreso di persona l’ascesi da l’impressione della sua “non sincerità” (vedi pag. 35)