Il plusvalore non può provenire né dl denaro, che è un semplice mezzo di scambio, né dallo scambio, poiché gli scambi avvengono sempre tra valori equivalenti. La sua origine va dunque ricercata nella produzione. Nella società borghese il capitalista ha la possibilità di comprare e usare la "merce operaia", cioè il lavoro dell'operaio, che ha la caratteristica principale di produrre valore. Il valore attribuito alla "forza lavoro" corrisponde al salario dell'operaio, ovvero al valore dei mezzi che gli sono necessari per vivere, lavorare e generare. Tuttavia l'operaio è capace di generare con il proprio lavoro un valore ben maggiore di quello che gli viene corrisposto con il salario. Il plusvalore discende dunque dal pluslavoro dell'operaio, cioè dal suo sfruttamento. Tale dinamica può avvenire in quanto il capitalista dispone dei mezzi di produzione, mentre l'operaio possiede soltanto la propria energia lavorativa ed è dunque costretto a vendersi sul mercato
Dal plusvalore deriva il profitto, tuttavia i due concetti non corrispondono. Occorre infatti distinguere il capitale variabile dal capitale costante. Il primo è quello che viene investito nei salari, il secondo è quello investito nei macchinari di fabbricazione. Dal momento che il plusvalore nasce soltanto in relazione ai salari, il saggio del plusvalore = plusvalore/ capitale variabile. Esso esprime appunto il rapporto, in percentuale, tra il plusvalore conseguito e il capitale variabile investito. Dal momento che il capitalista non deve soltanto stipendiare gli operai ma è costretto ad investire in impianti e macchinari, il saggio del profitto= plusvalore/ capitale costante + capitale variabile. Esso è sempre minore del saggio del plusvalore ed esprime in modo più preciso il guadagno del capitalista.