Se la causa dell’infelicità è la natura stessa, tutti gli uomini, di ogni tempo e luogo, sono necessariamente infelici. Nell’ottica del pessimismo cosmico la felicità diviene un dato eterno e immutabile (ciò nonostante, Leopardi continua a considerare gli uomini delle epoche passate più felici, poiché la loro vita era più attiva e permetteva loro di distrarsi, contrariamente all’inerzia che caratterizza la civiltà contemporanea all’autore). Il pessimismo cosmico, che dal 1824 costituirà elemento costatante di tutta l’opera di Leopardi, comporta un temporaneo abbandono del titanismo e della poesia civile, e l’adozione di un atteggiamento contemplativo: i suoi idoli non sono più gli eroi, ma i saggi del passato. Successivamente, ritornerà quell’atteggiamento di sfida nei confronti del fato e della natura.