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IDEALISMO - Coggle Diagram
IDEALISMO
I cosiddetti “critici immediati di Kant definirono il noumeno un concetto filosoficamente inammissibile. Il ragionamento con cui essi giunsero a tale conclusione era il seguente: presupponendo ogni realtà di cui siamo consapevoli come rappresentazione della coscienza, dunque stabilendo che l’oggetto sia concepibile soltanto in relazione a un soggetto, non si può ammettere l’esistenza di una “cosa in sè”, ovvero di una realtà non pensabile e non rappresentabile.
Che questo fosse davvero il punto di vista di Kant è quasi esclusivamente da escludere: Kant non identifica infatti il fenomeno con la rappresentazione, ma con l’oggetto di rappresentazione. Esso è un oggetto reale che viene appreso mediante le forme a priori dell’intelletto, in virtù delle quali esso risulta appunto un fenomeno. Il noumeno non è altro che un concetto limite che sta ad indicare quella parte di realtà alla quale l’intelletto non potrà mai accedere. Poichè Kant difende la natura ontologica del fenomeno in modo poco organico, si spiega l’interpretazione offerta dai suoi critici immediati.
Per idealismo si intendono quelle visioni del mondo che privilegiano l’ideale rispetto al materiale. Il termine idealismo in senso filosofico fu utilizzato per la prima volta nel 600 per riferirsi alla teoria delle idee di Platone; quest’ultimo, tuttavia, aveva attribuito alle idee un valore ontologico e contemporaneamente gnoseologico
Con l’espressione “idealismo gnoseologico” si indicano quelle prospettive che riducono l’oggetto della conoscenza a semplice rappresentazione (Cartesio, Berkeley e Kant)
Con l’espressione “idealismo romantico” si indica invece la corrente filosofica post-kantiana sviluppatasi in Germania nel periodo romantico
esso è definito
Soggettivo, quando lo si oppone alla prospettiva Spinoziana che aveva ridotto la realtà ad un principio unico, la Sostanza divina, che veniva identificata in termini materiali
Assoluto, a sottolineare che lo spirito sia il principio di tutto e che non vi sia niente al di fuori di esso
Per Kant l’io era qualcosa di finito, in quanto non creava la realtà ma si limitava a riordinarla secondo le sue forme a priori. Per questo sullo sfondo dell’attività dell’intelletto egli aveva elaborato l’esistenza di una “cosa in sè” che spiegasse là ricettività della conoscenza
Fichte sposta il discorso dal piano gnoseologico a quello metafisica: la rappresentazione, da modalità della conoscenza, diviene la realtà stessa. In virtù di ciò si nega l’esistenza di una qualsiasi realtà esterna all’io, che viene assunto come entità creatrice e infinita.
Lo spirito non è per Fichte l’intelletto del singolo individuo, ma coincide con l’intera realtà umana, considerata come attività conoscitiva e pratica è come libertà creatrice
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Trascendentale, quando lo si ricollega alla prospettiva Kantiana che aveva introdotto il concetto di “io penso”