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"La crisi della repubblica" - Coggle Diagram
"La crisi della repubblica"
Lo scontro tra ottimati e popolari venne rinfocolato in seguito alla guerra contro Giugurta. Nel regno di Numidia era morto il re Massinissa ed era scoppiata una lotta per la successione. Nel corso delle operazioni militari, Giugurta aveva fatto uccidere tutti i cittadini romani e italici che vivevano nella città di Cirta. Si trattava di una grave offesa per Roma.
Ciononostante il Senato esitava a dichiarare guerra a Giugurta, dato che in quella stessa epoca, l'Italia settentrionale era minacciata da due tribù germaniche(Cimbri e Teutoni). Tuttavia i cittadini romani uccisi erano commercianti e i popolari pretendevano la guerra.
Viste le pressioni dei popolari, il Senato alla fine prese la decisione e nel 111 a.C. dichiarò guerra a Giugurta. Le operazioni militari, però, vennero condotte con debolezza e i Romani subirono alcune umilianti sconfitte. Così, nel 107 a.C. i popolari riuscirono a far eleggere al consolato un uomo nuovo: Gaio Mario.
Mario doveva affrontare un duplice impegno militare: la campagna in Africa e la difesa dell'Italia settentrionale. Per questo era indispensabile rafforzare l'esercito. Mario decise di realizzare una radicale riforma dell'esercito, aprendo l'arruolamento a tutti i volontari, compresi i nullatenenti.
Mario, inoltre, soppresse l'antica organizzazione dell'esercito romano: i soldati erano tutti armati allo stesso modo. Inoltre le legioni giunsero a contare 6000 uomini, divisi in 10 coorti. Ogni coorte era articolata in 3 manipoli,
L'esercito romano si trasformò in un esercito di mestiere. Fare il soldato divenne un lavoro(con anche una paga). La riforma dell'esercito fu anche una risposta ai problemi sociali: ai proletari veniva offerta la possibilità di diventare soldati, armati e stipendiati.
Si stabilì, così, uno stretto rapporto tra soldati e generali che ebbe importanti conseguenze, spesso negative. Infatti i generali cominciarono a utilizzare i propri eserciti per tentare una scalata personale al potere.
La riforma dell'esercito consentì a Mario di sconfiggere Giugurta(105 a.C.) e di consolidare il suo prestigio a Roma. Tutti pensavano che le capacità militari di Mario fossero indispensabili, infatti, Mario fu eletto console cinque volte( dal 104 al 100 a.C.). Mario dimostrò che la fiducia dei Romani era ben riposta con due grandi vittorie: nel 102 a.C. sconfisse i Teutoni ad Aquae Sextiae; l'anno successivo sconfisse i Cimbri ai Campi Raudii.
Con queste vittorie Mario raggiunse l'apice della sua fortuna: era considerato il salvatore della patria. Ma in politica non era abile quanto sui campi di battaglia. E quando tornò a Roma non riuscì a volgere la situazione a suo favore.
Nel 100 a.C. i popolari proposero di distribuire a tutti i veterani 100 iugeri di terra. Il Senato era contrario. Ma la novità era che anche i cavalieri e la plebe erano contro perchè la distribuzione di terre avrebbe coinvolto anche gli italici.
I popolari allora si rivoltarono e il Senato affidò pieni poteri a Mario, proclamando un senatus consultum ultimum contro Saturnino(il tribuno della plebe che propose la legge). Il compito di applicare questo provvedimento e di reprimere la rivolta obbligò Mario a combattere i suoi sostenitori.
Venne così considerato un traditore e perse il favore del popolo, compromettendo la sua carriera politica. Decise, quindi, di partire per l'Oriente come capo di un'ambasceria.
I popoli italici avevano dato un contributo fondamentale alla grandezza di Roma. Tuttavia, non avendo la cittadinanza romana, gli Italici erano esclusi dal potere politico e dai vertici dell'esercito e, soprattutto, non potevano partecipare alla redistribuzione dell'ager publicus. Per questo da tempo gli Italici chiedevano la cittadinanza romana. Tuttavia la loro richiesta era sempre stata ignorata.
Le cose sembrarono cambiare nel 91 a.C. quando Marco Livio Druso venne eletto tribuno della plebe. Druso propose una serie di riforme che cercavano di accontentare tutti i gruppi sociali. Propose, per esempio, di concedere la cittadinanza romana agli Italici. Ma di nuovo questa proposta causò forti resistenze da parte della nobiltà conservatrice, che provocò tumulti di piazza. Poco dopo Druso verrà assassinato.
Gli Italici compresero allora che la loro richiesta non sarebbe mai stata accettata e decisero di far valere le loro ragioni con la forza, prendendo le armi contro Roma. Iniziò così la guerra sociale.
La rivolta partì da Ascoli, poi si estese rapidamente nell'Italia centro-meridionale: le popolazioni più combattive erano i Marsi e i Sanniti. Restavano fedeli a Roma: l'Etruria, l'Umbria e le città greche dell'Italia meridionale. Per sostenere la guerra i popoli ribelli si diedero un'organizzazione statale che imitava quella romana.
Gli Italici avevano fino a quel momento combattuto a fianco dei Romani, avevano le stesse armi e conoscevano tutte le tecniche utilizzate dall'esercito romano. Fu chiaro che, per piegare i ribelli, la forza delle armi non sarebbe bastata.
Fin dal 90 a.C. Roma offrì la cittadinanza ai socii che non si erano ribellati. E l'anno successivo la cittadinanza venne estesa a tutti coloro che cessavano le ostilità. Questi provvedimenti, però, non bastarono a far terminare immediatamente la guerra.
Nell'88 a.C. l'ordine poteva considerarsi ristabilito, nonostante vi fossero ancora casi di ribellione, da parte, per esempio, dei Sanniti. Dopo la guerra, il diritto di cittadinanza coinvolgeva praticamente tutta la penisola. Tutti questi cittadini quindi potevano partecipare ai comizi ed eleggere magistrati.
Ma comunque le discriminazioni non finirono lì e , di certo, l'oligarchia romana non aveva intenzione di rinunciare al potere e ai suoi privilegi.
Mentre la guerra sociale stava per concludersi arrivò a Roma la notizia che la provincia d'Asia era stata invasa. L'invasione era stata ordinata da Mitridate VI Eupatore, sovrano del Ponto, L'obiettivo di Mitridate era il controllo dell'Asia Minore e per questo nell'88 a.C. invase la provincia dell'Asia. Successivamente penetrò in Grecia
Era ormai indispensabile per Roma intervenire in Oriente. Il Senato affidò il comando della spedizione a Lucio Cornelio Silla. I popolari, però, convinsero l'assemblea della plebe ad affidare il comando a Gaio Mario che nel frattempo era tornato a Roma.
Silla apprese la notizia della nomina di Mario quando era già pronto a salpare per l'Oriente. Silla, così, decise di rispondere con un'iniziativa violenta: convinse i suoi soldati a marciare su Roma per sconfiggere i sostenitori di Mario. Iniziò così la guerra civile.
Forte di ben sei legioni, Silla ebbe ragione con facilità dei suoi avversari; molti popolari vennero uccisi, altri, tra cui Mario, fuggirono. A quel punto Silla decise di partire per l'Oriente per compiere la spedizione contro Mitridate, ma la situazione a Roma precipitò.
Approfittando dell'assenza di Silla, i popolari ripresero il potere e si vendicarono condannando migliaia di ottimati. Mario fu eletto console per la settima volta nell'86 a.C., ma dopo pochi mesi morì.
Silla, informato della situazione, decise di affrettare le operazioni contro Mitridate: impose così al re del Ponto di ritirarsi dai territori che aveva occupato ( pace di Dardano, 85 a.C.) e ripartì per Roma.
Silla sbarcò a Brindisi nell'83 a.C. e, una volta arrivato, scatenò nuovamente una sanguinosa guerra civile che sconvolse la penisola per due anni. Anche gli Italici si allearono contro di lui guidati da Mario il Giovane(figlio di Gaio Mario).
Lo scontro decisivo avvenne a Porta Collina nell'82 a.C. e vide la vittoria di Silla che così resto padrone indiscusso dello Stato romano.
Dopo la vittoria Silla si fece nominare dittatore. Silla, riuscì a ottenere una dittatura senza limiti di tempo e la libertà di attuare una riforma politica della repubblica. Questa violazione della legge aveva lo scopo di dare a Silla i poteri necessari a rafforzare la supremazia dell'aristocrazia senatoria e togliere ogni possibilità di azione politica ai popolari e ai cavalieri.
Ogni opposizione fu eliminata con spietate liste di proscrizione: si trattava di elenchi degli avversari politici di Silla, i proscritti, che chiunque poteva denunciare e uccidere.
La proscrizione divenne anche uno strumento per privare dei beni i cittadini ricchi sgraditi e ingrassare così i patrimoni degli ottimati fedeli a Silla.
Tra l'81 e l'80 a.C. Silla emanò le leggi con cui intendeva riformare la repubblica:
I tribuni della plebe vennero privati del diritto di veto; ogni loro proposta doveva essere approvata dal Senato; infine, fu loro vietato di proseguire la carriera politica;
I cavalieri vennero esclusi dal potere giudiziario: tutti i tribunali vennero affidati al Senato.
I comandanti vennero obbligati a congedare i propri eserciti appena giunti in Italia, in modo da evitare che qualcuno potesse usare l'esercito per fini politici;
I consoli vennero privati del potere militare; si poteva essere rieletti consoli solo dopo dieci anni;
il diritto di accedere al Senato fu esteso anche nella magistrature minori, a partire dai questori.
Nel 79 a.C. Silla si ritirò dalla vita politica, rinunciando a ogni carica. L'anno successivo morì nella sua casa in Campania. Oggi molti storici pensano che il ritiro di Silla dimostri la sua buona fede. Dunque non volle la dittatura per rafforzare il suo potere personale: voleva veramente riorganizzare la repubblica.
Resta il fatto che per riaffermare il valore della legge fece ricorso al massimo dell'illegalità, affiancandosi alla forza delle armi.
Al di là della sua volontà, dunque, dimostrò che la legge non valeva per chi poteva contare sulla forza dell'esercito. Gli eventi successivi alla morte di Silla, infatti, dimostrarono il completo fallimento della sua riforma.