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La crisi della repubblica - Coggle Diagram
La crisi della repubblica
Il più deciso delle antiche tradizioni romane fu Marco Porcio Catone( detto il Censore). Secondo egli, i Romani dovevano imitare grandi uomini del passato. La virtù doveva avere un carattere pubblico e la tradizione la identificava nella pietas, un termine con cui si indicava il rispetto di tutti i doveri verso gli altri(verso gli dei, lo Stato, la famiglia ecc.). Catone si impegnò in ogni modo per impedire che la cultura greca penetrasse a Roma.
I tradizionalisti ottennero inizialmente qualche soddisfazione come il provvedimento che impose l'allontanamento di tre filosofi greci. Secondo Catone, questi tre corrompevano i giovani romani perchè li appassionavano alla filosofia allontanandoli dagli impegni militari.
I tradizionalisti vedevano nella filosofia un elemento di instabilità. La filosofia infatti per sua natura alimenta le incertezze e il dubbio che potevano incrinare la lealtà verso lo Stato. Ma nel complesso, ciò che appariva inaccettabile della nuova moda era che distoglieva dagli impegni pubblici.
Invece, molti aristocratici ammiravano la civiltà greca e si raccolsero nel circolo degli Scipioni. L'obiettivo di questo circolo era superare la tradizione romana impadronendosi di un'eredità culturale apprezzata in tutto il Mediterraneo
Nonostante le resistenze dei tradizionalisti, il peso dell'influenza greca non tardò a manifestarsi anche nella vita quotidiana. Quelli che potevano permetterselo si costruirono abitazioni più lussuose: le domus. Cambiò, inoltre, l'alimentazione: dal II secolo a.C. si imposero nuovi sapori e nuove pietanze.
Tra le nuove abitudini dei Romani ci furono anche quelle salutiste: furono costruite, infatti, le prime terme. Inoltre, si diffuse l'amore per il teatro e per il ballo.
Anche la medicina si modernizzò: arrivarono nuove tecniche operatorie e rimedi farmacologici.
La società romana rischiava di precipitare in uno scontro tra nobili, cavalieri, contadini, proletariato urbano e schiavi. Due importanti personaggi della vita politica si impegnarono con l'obiettivo di evitare questa eventualità: Tiberio e Gaio Gracco.
Tiberio riteneva necessario intervenire nella questione agraria affinchè la maggioranza della popolazione non fosse ridotta alla miseria con conseguenze che potevano diventare molto pericolose per lo Stato.
Secondo lui occorreva ricostruire la piccola proprietà terriera e con essa la classe dei contadini-soldato.
Nel 133 a.C. Tiberio si fece eleggere tribuno della plebe, in modo da poter presentare all'assemblea plebea una legge che sarebbe risultata vincolante anche i patrizi. Secondo questa legge:
Nessuno poteva possedere più di 500 iugeri di ager publicus;
L'ager publicus recuperato sarebbe stato diviso in tanti piccoli lotti di 30 iugeri da distribuire ai contadini;
Una commissione era incaricata di confiscare le terre detenute abusivamente dai latifondisti e di distribuirle ai contadini. L'assemblea della plebe approvò la proposta, nonostante l'opposizione del Senato.
Per far applicare la legge Tiberio cercò di farsi rieleggere tribuno della plebe anche per l'anno seguente. Questa scelta però urtava la tradizione: in due secoli non si era mai vista la ricandidatura per un secondo anno di fila. L'aristocrazia senatoria accusò così Tiberio di volersi impossessare del potere e aspirare alla tirannide.
Venne così dichiarato lo stato di pericolo e nel 133 a.C. Tiberio e altri 300 sostenitori vennero assassinati e gettati nel Tevere.
Dopo la morte di Tiberio, il Senato non ebbe il coraggio di abolire la sua riforma; piuttosto preferì ostacolarne in tutti i modi l'applicazione. Lo scontro politico si ripropose quando il fratello di Tiberio, Gaio Gracco, divenne tribuno della plebe(123 a.C.). Gaio Gracco favorì la plebe con l'approvazione della legge frumentaria, che prevedeva distribuzioni gratuite di grano) ai cittadini più poveri.
Un'altra iniziativa fu l'arruolamento dei proletari nell'esercito a spese dello Stato. Gaio cercò anche l'appoggio dei cavalieri facendo approvare una legge riguardante i tribunali(grazie a questa legge i cavalieri acquisivano un ruolo politico di grande importanza).
Gaio si fece rieleggere tribuno nel 122 a.C. con l'obiettivo di ripresentare la legge agraria del fratello, affiancandola con un'altra legge che prevedeva l'estensione della cittadinanza romana ai popoli italici alleati di Roma.
Questa proposta, però, incontrò l'opposizione dei Romani che non volevano dividere con altri popoli i privilegi e i diritti di cui godevano. Gaio nel 121 a.C. fallì la rielezione a tribuno della plebe.
Tentò allora di organizzare una rivolta armata, ma il Senato lo dichiarò nemico pubblico. La rivolta venne repressa nel sangue e, per non cadere nelle mani nemiche, Gaio Gracco si fece uccidere da uno schiavo. Il suo cadavere fu gettato nel Tevere. La riforma agraria venne, così, abbandonata.
La crisi sociale si rifletteva anche nella vita politica. Il senato si era rafforzato nel periodo delle guerre; i senatori finirono così per dominare la scena politica. Inoltre, concentravano nelle loro mani una grande ricchezza.
L'antica divisione della società romana in patrizi e plebei era diventata dunque molto meno importante: molti plebei, infatti, si erano arricchiti e potevano così accedere a tutte le più importanti cariche della repubblica. Quindi, all'antica oligarchia dei patrizi, se ne sostituì una nuova, formata dai patrizi e dai plebei ricchi.
Questa nuova classe dirigente venne chiamata nobiltas e controllava il Senato. Era molto raro che i cittadini non nobili accedessero alle cariche politiche. Quando vi riuscivano, infatti, venivano detti homines novi(uomini nuovi).
Le trasformazioni sociali determinarono però nuove tensioni: i contadini che avevano perso la loro terra e furono costretti ad andare in città, diventarono proletari. Questo gran numero di disoccupati divenne un serbatoio di clientele: molti, infatti, sopravvivevano grazie alla protezione delle famiglie ricche; in cambio, però, dovevano votarne gli esponenti nelle assemblee.
I cavalieri, i "nuovi ricchi" che si erano impadroniti dei grandi affari con le province;
Tra gli alleati italici cresceva il malcontento perchè non erano stati ricompensati con la distribuzione delle terre nè con il diritto al voto e dovevano, invece, versare pesanti tributi;
Gli abitanti delle province si trovavano in una situazione anche peggiore, dato che i magistrati addetti al loro governo compivano abusi di ogni genere.
I grandi problemi che minavano le vita della repubblica erano:
A peggiorare la situazione concorreva l'esasperarsi delle rivalità interne alla nobiltas, che si divise in due partiti in lotta per il potere: gli ottimati e i popolari.
Gli ottimati rappresentavano gli interessi più conservatori ed erano contrari a qualsiasi innovazione. Avevano il loro punto di forza nel Senato.
Dall'altra parte c'erano i popolari: ne facevano parte le famiglie più progressiste dei cavalieri, italici e plebei. I popolari proponevano riforme politiche e sociali.
I violenti conflitti politici e sociali che si scatenarono verso la metà del II secolo a.C. erano assai più aggressive della lotta tra patrizi e plebei. Furono i protagonisti di queste rivolte violente gli schiavi(proprio per questo motivo vennero chiamate guerre servili). Un altro elemento di novità fu il coinvolgimento nei conflitti i popoli italici. Essi pretendevano la cittadinanza e per ottenerla non esitarono a prendere le armi contro Roma, dando inizio alla guerra sociale.
Le istituzioni repubblicane non ressero alla prova di tutti questi conflitti e Roma precipitò nella guerra civile. Di fatto questa guerra civile terminò solo con la fine della repubblica, quando salì al potere Ottaviano. La causa della crisi della repubblica va cercata nell'inadeguatezza delle sue istituzioni.