Un'opera dove si può analizzare questo fenomeno è il saggio di Migliorini, chiamato "dialetto e lingua nazionale a Roma", in cui egli inserisce la storia linguistica del rinascimento Romano in una faida tra il dialetto romanesco e il toscano letterario, prossimo a divenire lingua comune, oltre che letteraria. Secondo l'autore, a favorire la decadenza del Romanesco è la posizione linguistica sempre meno centrale che assume Roma, perdendo sempre più il ruolo di propagatrice di lingua nazionale punta dall'altra parte a favorire il fiorentino stesso, che acquisisce sempre più prestigio insieme al numero esiguo di parlanti del Romanesco, ciò ne favorisce la penetrazione linguistica.
Alcuni autori hanno postulato l'esistenza di un livello medio del Romanesco in epoca rinascimentale, e questa etichetta non indica un preciso quesito vincente in sociolinguistica, che quindi indica un suo utilizzo presso la classe media quanto piuttosto un coefficiente strutturale: con medio si intende quel livello di lingua che non ha pieni caratteri nel registro letterario né di quello plebeo.