CICLO CELLULARE E I SUOI PROTAGONISTI MOLECOLARI
Il ciclo cellulare è una serie ordinata di eventi molecolari che porta alla proliferazione delle cellule.
È possibile individuare tre grandi categorie cellulari:
CELLULE ESTREMAMENTE SPECIALIZZATE:
Cellule che possiedono una estrema specializzazione strutturale, come le cellule nervose, quelle muscolari ed i globuli rossi, che hanno perso la capacità di dividersi. Una volta avvenuto il processo di differenziamento, le cellule permangono in quello stato fino alla loro morte. Non possono più rientrare nel ciclo cellulare perché hanno subito drammatiche modifiche dal punto di vista di organizzazione della cromatina e della struttura che le rende impossibilitare a ulteriori proliferazioni.
CELLULE LA CUI MITOSI E' INDUCIBILE:
Cellule che normalmente non si dividono, ma che possono essere indotte a dividersi in seguito ad un appropriato stimolo. Di questo gruppo fanno parte le cellule del fegato, che possono essere indotte alla proliferazione in seguito ad asportazione chirurgica di parte del fegato stesso, epatectomia parziale, e i linfociti, i quali possono essere indotti a dividersi dall’interazione con un antigene appropriato.
CELLULE ALTAMENTE MITOTICHE:
Cellule che possiedono normalmente un livello relativamente alto di attività mitotica. Vengono incluse in questa categoria le cellule staminali ematopoietiche che danno origine ai globuli rossi e ai globuli bianchi, e le cellule staminali dello strato basale di epiteli che rivestono le cavità e le superfici corporee.
CELLULE QUIESCENTI:
Molte cellule del corpo sono definite quiescenti, il che significa che si trovano in uno stato che non le porterà a dividersi nell’immediato. Esse, tuttavia, conservano la capacità di dividersi se le condizioni ambientali dovessero cambiare. Fatte poche eccezioni, le cellule che hanno cessato di dividersi vengono tutte a trovarsi in uno stadio che precede l’inizio della sintesi di DNA. Le cellule quiescenti vengono normalmente indicate come cellule in fase G0 per distinguerle dalle cellule nella tipica fase G1 che sono in procinto di entrare in fase S. Per passare dalla fase G0 a G1 e, quindi, poter rientrare nel ciclo, una cellula deve ricevere un segnale che stimoli la proliferazione.
CONTROLLO DEL CICLO CELLULARE
GENETICA DEL CANCRO:
Lo studio del ciclo cellulare ha enormi implicazioni pratiche nella lotta contro il cancro, una malattia che deriva dall’incapacità di una cellula di regolare la propria divisione. Il cancro è una malattia genica, in quanto dipende da mutazioni del DNA, ma è anche un processo multi-step che prevede l'accumulo di mutazioni su vari geni che lavorano su certi processi cellulari, causando la progressione del processo di trasformazione. Inizialmente le mutazioni possono semplicemente dare come risultato un'eccessiva proliferazione di cellule ancora normali, che possono cioè rispondere ancora in modo corretto agli stimoli ambientali. Tuttavia, se proliferano più di quanto devono, hanno maggiore probabilità di mutare accumulando mutazioni finché la popolazione iperproliferante diventa davvero tumorale acquisendo capacità invasive e metastatizzanti e acquisendo fenotipo maligno.
PROTONCOGENI:
Sono i geni che codificano per i protagonisti molecolari con effetto positivo sul ciclo cellulare, che stimolano la proliferazione. Per avere un effetto positivo sul ciclo cellulare, le mutazioni genetiche che colpiscono i protoncogeni dovranno essere attivanti, svincolando dei controlli negativi a monte.
Mutazioni puntiformi possono capitare in un protooncogene a livello dei siti regolatori: un promotore di un gene può essere regolato sia da fattori di trascrizione inibitori che da fattori attivatori, perciò se in un promotore di un protooncogene muta un sito che normalmente lega un inibitore trascrizionale, succede che quest’ultimo non potrà più inibire l’espressione di quel gene, portando quest’ultimo a diventare un oncogene.
Nel caso dell’amplificazione genica: i geni non sono mutati ma sono presenti in multi-copia, sono duplicati e amplificati.
Una traslocazione cromosomica iperattivante può essere causa di attivazione di moltissimi protooncogeni presenti nel nostro genoma: basta che il protooncogene venga posizionato sotto ad un promotore che funziona molto in un tipo cellulare, portando alla formazione di cellule tumorali o alterate.
Mutazioni in oncogeni possono avvenire a livello di: regolatori del ciclo cellulare, regolatori dell’apoptosi, enzimi di riparazione del DNA.
ONCOSOPPRESSORI:
Sono i geni che codificano per prodotti con funzione negativa sul ciclo cellulare e che quindi inibiscono la proliferazione. Per avere un effetto positivo sul ciclo cellulare dovranno subire delle mutazioni inattivanti, che sono generalmente recessive.
La traslocazione può anche determinare l’inattivazione di un oncosoppressore: perché il punto di rottura della porzione che viene traslocata è casuale, quindi può finire in mezzo alla sequenza codificante di un oncosoppressore causandone la completa inattivazione, ma può anche inficiare l’espressione quando questo fenomeno comporta lo spostamento di questa sequenza su una zona costitutivamente eterocromatinica di un altro cromosoma comportando quindi il silenziamento totale dell’oncosoppressore.
Sono degli oncosoppressori anche i geni che codificano per le proteine che controllano i check-point (per esempio nei vari check-points del ciclo cellulare, come quando viene verificata l’integrità del genoma prima di andare avanti con il ciclo).
Si possono avere anche delle situazioni in cui non ci sono delle vere e proprie mutazioni genetiche, ma delle alterazioni epigenetiche, che hanno un’importanza determinante in moltissimi processi cellulari. Possiamo anche non trovare mutato un gene di un oncosoppressore, ma se le sue sequenze regolative sono, per esempio, ipermetilate a livello delle citosine, oppure è ipermetilata (con una metilazione inibitoria della trascrizione) molta cromatina a livello delle code
istoniche, quel gene può non esprimersi (con Tripodi abbiamo visto come la metilazione può riguardare sia direttamente il DNA come modifica epigenetica coinvolgendo le citosine che si trovano vicino a delle guanine (C-G), oppure possono verificarsi delle specifiche metilazioni operate dalla metiltransferasi che riconoscono le code di alcuni istoni degli ottameri del nucleosoma). Si può avere un silenziamento per abnormi modifiche epigenetiche del DNA che codifica per oncosoppressori.
TURNOVER CELLULARE:
I cicli cellulari non terminano con la formazione dell'organismo adulto, in quanto esso è caratterizzato da un'omeostasi tessutale che prevede un continuo turnover di cellule che una volta morte vengono sostituite per mitosi.
SERBATOI DI CELLULE STAMINALI:
Recentemente si è dimostrato che tessuti che hanno queste caratteristiche, quindi a lungo considerati come silenziosi dal punto di vista riproduttivo, hanno in realtà dei serbatoi cellulari formati da cellule staminali tissutali altamente indifferenziate che in caso di necessità possono produrre delle cellule indirizzate verso uno specifico lineare differenziativo. Nel muscolo queste cellule sono le cellule satelliti.
LE FASI DEL CICLO CELLULARE:
Il ciclo cellulare si distingue in due fasi principali sulla base delle attività cellulari chiaramente visibili al microscopio ottico: la fase M e l’interfase.
La fase M include:
- il processo di mitosi, durante il quale i cromosomi duplicati vengono separati in due nuclei distinti;
- la citocinesi, durante la quale l’intera cellula viene fisicamente divisa in due cellule figlie.
L’interfase, il periodo tra le divisioni cellulari, è il tempo in cui la cellula cresce ed è impegnata in diverse attività metaboliche.
Mentre la durata della fase M normalmente è di circa un’ora nelle cellule di mammifero, l’interfase può durare ore, giorni, settimane o più a lungo, a seconda del tipo cellulare e delle condizioni.
Sebbene la fase M costituisca di fatto il periodo durante il quale la cellula e tutto il suo contenuto si dividono, durante l’interfase si assiste a numerosi eventi preparativi per la successiva divisione, inclusa la replicazione del DNA cellulare.
La fase del ciclo cellulare nella quale avviene la replicazione viene chiamata fase S.
INTERFASE:
L'interfase può essere distinta in tre sottofasi:
- G1: durante questa fase avvengono tutte le peirncipali funzioni metaboliche e attività che la specifica cellula deve svolgere;
- S: nella quale viene la replicazione del DNA;
- G2: durante la quale la cellula si prepara per la mitosi.
Dove la G sta per gap=intervallo.
DURATA DEL CICLO CELLULARE UMANO:
Il ciclo riproduttivo di un batterio che avviene tramite scissione binaria dura circa 45 minuti.
Il ciclo cellulare umano dura complessivamente 24 ore:
- La fase G1 ha una durata di circa 9 ore (solo se la cellula è destinata a replicare);
- La fase S dura circa 10 ore;
- La fase G2 dura circa 4/5 ore;
- La fase M dura solo 45 minuti.
ISTONI:
La fase S è anche il periodo durante il quale la cellula sintetizza gli istoni addizionali che saranno necessari affinché la cellula duplichi il numero dei nucleosomi nei suoi cromosomi.
Vi sono molti esperimenti a dimostrazione di ciò: ad esempio la somministrazione a cellule in proliferazione di una timidina triziata che marcherà DNA di neosintesi e una metionina marcata con zolfo radioattivo che invece andrà a legare gli istoni. Si può osservare come i picchi di incorporazione di queste due componenti corrispondano, dimostrando quindi che le sintesi avvengono in contemporanea.
Esistono anche varianti istoniche dette varianti isteriche non replicabile la cui sintesi non è correlata alla sintesi del DNA e vengono prodotte durante tutta l'interface. Esse servono a rendere più dinamica la cromatina per facilitare processi come quello della trascrizione o del riparo di lesioni del DNA. La quantità di istoni presenti nella cellula deve essere finemente regolata; una loro abbondanza potrebbe essere dannosa in quanto essendo proteine basiche potrebbe reagire con qualsiasi molecola acida presente nella cellula andando a formare dei pericolosi aggregati che precipitando diventano citotossici. Qualsiasi loro movimento è quindi sempre assistito da specifiche proteine chaperone che impediscono interazioni anomale.
ESPERIMENTI SUL CICLO CELLULARE:
FUSIONE:
Nel 1970, una serie di esperimenti di fusione cellulare aprirono uno spiraglio nella comprensione del processo di regolazione del ciclo cellulare.
Rao e Johnson volevano scoprire se il citoplasma cellulare contenesse fattori di regolazione che influenzavano le attività del ciclo cellulare. A questo scopo, fusero cellule di mammifero che si trovavano in stadi differenti del ciclo cellulare. La fusione può avvenire in diversi modi, ad esempio andando ad indebolire le membrane cellulari attraversi un virus, andando ad aumentare la propensione già presente delle cellule di fondere in un unica.
In un esperimento, per esempio, fusero cellule in mitosi con cellule in altri stadi del ciclo cellulare: la cellula mitotica induceva sempre la condensazione della cromatina nel nucleo della cellula non in mitosi.
- Se veniva fusa una cellula in fase G1 con una cellula in fase M, si poteva osservare che la cromatina del nucleo in fase G1 subiva un processo di condensazione cromosomica prematura per formare un set di cromosomi condensati allungati.
- Se una cellula in fase G2 e una cellula in fase M venivano fuse, i cromosomi G2 mostravano una condensazione prematura, ma, a differenza di quelli di un nucleo G1, i cromosomi G2 condensati erano chiaramente doppi, dimostrando che la replicazione era già avvenuta.
- Anche la fusione di una cellula mitotica con una cellula in fase S dava luogo alla condensazione cromatinica della cellula in fase S. Tuttavia, durante la replicazione, il DNA è così sensibile ad eventuali danni che la condensazione nei nuclei in fase S portava alla formazione di frammenti cromosomici “polverizzati” piuttosto che alla formazione di cromosomi compattati intatti.
I risultati di questi esperimenti suggerirono che il citoplasma di una cellula mitotica conteneva fattori solubili capaci di indurre la mitosi in una cellula non mitotica, con effetto dominante. Questa osservazione suggeriva che il passaggio dalla fase G2 alla fase M era sotto un controllo positivo; in altre parole, la transizione era indotta dalla presenza di alcuni fattori stimolatori.
- Andando a fondere cellule in fase S con cellule in fase G1, le seconde iniziano precocemente la replicazione. Anche in questo caso gli eventi della fase S sono dominanti rispetto a quelli in G1.
- Andando a fondere cellule in fase S con cellule in fase G2, le seconde sono refrattarie allo stimolo, ciò vuol dire che i fattori della fase S condizionano solo la sua fase precedente, una cellula che ha già duplicato il proprio DNA non può effettuare un ulteriore duplicazione se prima non ha completato il ciclo cellulare.
Sono cosi emerse due caratteristiche del ciclo cellulare:
- E' influenzato da fattori diffusibili;
- E' unidirezionale.
APPROCCIO GENETICO:
I ricercatori che hanno studiato il controllo genetico del ciclo cellulare hanno focalizzato la loro attenzione su due specie di lievito lontane parenti: Saccharomyces cerevisiae (lievito gemmante), che si riproduce mediante la formazione di gemme ad una estremità cellulare e Schizosaccharomyces pombe (lievito a fissione), il quale si riproduce allungandosi e poi dividendosi in due cellule uguali.
Di grande utilità dal punto di vista sperimentale sono anche i lieviti mutanti a temperatura sensibile: essi sono dei mutanti che pur avendo una mutazione nel DNA la esprimono solo ad una determinata temperatura generalmente alta, quindi a temperature basse questo mutante si comporta come una cellula normale, mentre superata una determinata temperatura esprimono il fenotipo mutato. I lieviti in esame sono mutanti temperatura sensibili del ciclo cellulare: alcuni geni codificanti per proteine regolatorie del ciclo saranno mutati.
Le cellule smettevano quindi di crescere ad alte temperature e si bloccavano in punti precisi del ciclo cellulare, in base a quale era il prodotto mutato che regolava il passaggio da una fase all'altra.
Per determinare quali fossero i geni la cui mancata funzionalità interrompeva il ciclo cellulare si è trasferita in coltura insieme alle cellula una libreria di cDNA. Ci saranno lieviti che prenderanno da questa la versione selvatica del gene che possiede mutato, secondo il fenomeno della complementazione genica, permettendo lo sblocco dalla fase in cui il ciclo si era bloccato con l'innalzamento della temperatura. A questo punto per riconoscere il gene regolatore del ciclo cellulare nella specifica fase basterà analizzare il cDNA utilizzato.
MPF:
Gli studi che ci hanno permesso di mettere mano sui prodotti proteici importanti per il controllo del ciclo cellulare sono quelli negli ovociti di rana Xenopus Laevis.
E' stata individuata una proteina, chiamata fattore di promozione della maturazione (MPF), responsabile dell’entrata della cellula in fase M.
MPF è composto da due subunità:
- (1) una subunità con attività chinasica, responsabile del trasferimento dei gruppi fosfato dall’ATP a specifici residui di serina e treonina di specifiche proteine substrato;
- (2) una subunità di tipo regolatorio chiamata ciclina. Il termine ciclina fu coniato proprio per indicare che la concentrazione di questa proteina regolatrice aumenta e diminuisce in maniera prevedibile in ogni ciclo cellulare. La particolarità sta nel fatto che è variabile non perché lo sia la sua produzione, ma lo è la sua degradazione, influenzando il funzionamento di tutta la proteina complessiva.
Quando la concentrazione della ciclina è bassa, la chinasi si trova priva della subunità ciclina ed è perciò inattiva. Quando la concentrazione della ciclina aumenta, la chinasi viene attivata, con la conseguente entrata della cellula in fase M.
Tali risultati hanno suggerito che:
- la progressione delle cellule attraverso il ciclo cellulare dipende da un enzima la cui sola attività è quella di fosforilare altre proteine;
- l’attività di questo enzima è controllata da una subunità la cui concentrazione varia da uno stadio del ciclo cellulare ad un altro.
CDK:
Enzimi MPF-simili vengono indicati con il termine chinasi ciclina-dipendenti (Cdk). È stato appurato che le Cdk non sono solo coinvolte nella fase M, ma sono gli agenti chiave che orchestrano le attività durante tutto il ciclo cellulare. Le chinasi Cdk svolgono le loro funzioni fosforilando diversi gruppi di proteine. Ciascun evento di fosforilazione viene attuato nel momento più appropriato durante il ciclo cellulare, stimolando o inibendo di conseguenza uno specifico processo cellulare collegato alla divisione cellulare.
RIASSUNTO ESITI ESPERIMENTI:
- Hartwell ha introdotto il concetto di checkpoint nel ciclo cellulare;
- Nurse ha caratterizzato con modelli genetici e molecolari una Cdk;
- Hunt è stato il primo ad isolare una ciclica con esperimenti con embrioni di ricci di mare.
FUNZIONAMENTO:
Le cicline sono caratterizzate da un'estremità N-terminale che contiene una sequenza amminoacidica che ha un sito di riconoscimento per enzimi che hanno delle ubiquitina ligasi: l'ubiquitina ligasi deve essere regolata a sua volta nel controllo della degradazione della ciclina.
C'è un'ubiquitina ligasi guidata dal complesso proteico APC, Anaphase Promoting Complex: questo a sua volta deve essere attivato tramite fosforilazione che avviene grazie allo stesso complesso Cdk: in sostanza la sua componente chinasica regola se stessa degradando la ciclina.
Riassumendo:
- Il complesso Cdk in fase M lavora sul complesso promotore dell'anafase APC fosforilandolo;
- La fosforilazione rende l'APC attivo come ubiquitina ligasi, quindi questo lavora sulla ciclina del complesso Cdk degradandola;
- La Cdk libera non funziona più e la cellula esce dal ciclo cellulare potendo cominciare nelle cellule figlie una nuova interfase.
I COFATTORI DELL'APC:
L'APC lavora espletando la sua funzione di ubiquitina ligasi su un determinato substrato in base al colatore con cui si lega.
CDC20:
Il legame con la cdc20 rende l'APC specifico per la securina. La securina è una proteina che inibisce l'attività della separasi, enzima che degrada la coesine, elementi del cinetocore che tengono uniti i due cromatici fratelli.
Quindi: la degradazione della securina da parte dell'APC porta all'attivazione della separasi che degrada la coesina senza la quale i cromatidi fratelli si separano determinando l'inizio dell'anafase.
Cdc-20 diventa cofattore dell'APC quando dei sensori di tensione a livello dell cinetocore indicano che è il momento giusto della separazione.
CDH1:
Una volta che l'APC ha lavorato con come cofattore il cdc20, il cofattore che rende l'APC specifico per la ciclina della Cdk è cdh1. Alla fine la cellula esce dal ciclo cellulare.
REGOLAZIONE DELLA CDK:
Affinché lavori in modo efficiente la Cdk deve subire delle modifiche post-traduzionali tra cui la fosforilazione da parte di altre chinasi.
La fosforilazione attivante avviene sulla treonina in posizione 160.
La fosforilazione inibitoria avviene sui residui di treonina 14 e tirosina 15.
Il legame con la ciclina induce una iniziale modifica conformazionale che comincia a rendere accessibile ai substrati il sito catalitico della chinasi, passaggio non sufficiente a dare piena attività alla chinasi. Una volta attaccato il fosfato attivatore allo specifico amminoacido la Cdk subisce il grosso della sua modifica conformazionale che rende il sito catalitico accessibile ai substrati.
WEE1 E CDC25:
Wee1 mantiene la Cdk inattiva fino alla fine di G2, può quindi essere definito un oncosoppressore e un suo deficit fa intraprendere la mitosi precocemente. Poi, alla fine di G2, il fosfato inibitore presente a livello di Tyr 15 è rimosso da una fosfatasi detta Cdc25, a questo punto definibile come un protoncogene. La rimozione del gruppo fosfato attiva le molecole ciclina-Cdk, permettendo la fosforilazione dei substrati chiave e l’entrata della cellula di lievito in mitosi. L’equilibrio tra l’attività della chinasi Wee1 e della fosfatasi Cdc25, che normalmente determina se la cellula resta in G2 o procede verso la mitosi, è a sua volta regolato da altre chinasi e fosfatasi.
I vari complessi ciclina-cdk sono parzialmente sovrapposti, nel senso che funzionano fin quando a quella precedente o successiva non accade qualcosa. Infatti, spesso la ciclina-cdk di una fase controlla quella di una fase precedente o successiva, attivandola o inibendola in un complesso processo di regolazione reciproca.
RB:
RB da retinoblastoma, tumore all'occhio provocato se il gene non funziona, è un oncosoppressore che in una cellula in G0 tiene non attivi una serie di fattori trascrizioni E2F che se attivati comincerebbero ad accendere tutti i geni necessari, as esempio per la sintesi di DNA per il passaggio alla fase S.
Il complesso ciclina-cdk della G1 la cui sintesi è stimolata da fattori ambientali, fosforila RB facendogli cambiare conformazione e provocando il suo distacco da E2F che diventa capace di lavorare come fattore di trascrizione.
Tra i prodotti di questa trascrizione vi è anche la ciclina E che lavora in fase S, in modo che formi il complesso con la cdl e vada ancora a fosforilare RB, che ormai iperfosforilato si stacca completamente dai promotori.
Questo è il punto di start del ciclo che una volta superato non può far altro che far procedere la cellula con la divisione mitotica, è un punto di non-ritorno.
ELICASI MCM:
Nel passaggio G1-S un altro target dei complessi cicline-cdk sono le elicasi MCM che aprono il doppio filamento del DNA a livello delle due forcelle di replicazione. Quando le ciclineE-cdk di fase S fosforilano le elicasi e le proteine accessorie di controllo, le orc si staccano dalle ars, permettendo la neo sintesi di DNA e poi queste si vanno a riposizionare in modo da evitare una replicazione in eccesso.
Altre funzioni dei complessi ciclina-cdk:
- In fase M fosforilano alcune proteine associate al DNA favorendo la condensazione dei cromosomi prima della divisione nelle cellule figlie;
- Partecipano alla formazione del fuso mitotico, sono importanti per la polimerizzazione dei microtubuli dei centrosomi;
- Bersagliano le lamine nucleari provocando la frammentazione della membrana nucleare;
- Fosforilazione della catena leggera della missina provocando inattivazione finché il crollo del complesso non ne provoca l'attivazione per la citodieresi;
DUPLICAZIONE DEI CENTROSOMI:
Appena duplicati in maniera semiconservativa i centrioli vengono tenuti insieme da proteine di connessione associate ai microtubuli, target delle separasi.
L'evento del ciclo cellulare più importante da tenere sotto controllo è la replicazione del DNA ed il suo stato di integrità. Se dovessero essere presenti delle lesioni o il DNA non dovesse essersi replicato il maniera corretta, la cellula deve intervenire con altri meccanismi che blocchino il processo.
Un controllo importante avviene in fase tardiva G2 e un altro in fase M, in particolare riguardo l'allineamento dei cromatici fratelli lungo la piastra metafisica.
P53:
E' una proteina che lavora da protagonista in molti meccanismi importanti per l'omeostasi cellulare, tanto che si trova mutata in più del 50% dei tumori umani. Interviene nel momento in cui si deve controllare l'integrità del genoma, comportandosi come un sensore.
- Attiva delle chinasi che vanno a fosforilare la proteina cdc-25 rendendola inattiva e di conseguenza interrompendo tutto il ciclo cellulare;
- Diventa fattore trascrizione il cui gene target è P21, una proteina che si associa al complesso ciclina-cdk inattivandolo;
- Può anche essere una proteina pro-apoptotica e anti-proliferativa che lavora sull'induzione della morte cellulare.
Ci sono casi in cui una perdita di funzione di un oncosoppressore può manifestarsi in eterozigosi come se fosse un carattere dominante, quando i loro prodotti lavorano in dimeri, in trimeri o in tetrameri. Un esempio è proprio p53, il quale lavora come un omotetramero, in cui tutti e 4 i monomeri devono funzionare (devono essere selvatici). Se c’è una mutazione in uno soltanto dei due alleli che codificano per p53, si possono formare anche dei tetrameri attivi (tutti costituiti dal prodotto dell’allele selvatico), ma è più probabile che si formino tetrameri con uno o più elementi mutati, e ne basta solo uno mutato per avere la completa inattivazione del tetramero.
OSSERVAZIONI CHE HANNO DIMOSTRATO CHE IL CANCRO E' LEGATO A MUTAZIONI DEL DNA:
- Capacità trasformante di oncogeni virali: alcuni virus sono oncogeni;
- Natura collare dei tumori;
- Azione mutagena di molte sostanze cancerogene;
- Presenza di mutazioni genetiche somatiche e di aberrazioni cromosomiche nelle cellule tumorali;
- L'incidenza dei tumori aumenta con l'età;
- Ereditabilità della predisposizione a tumori.
- CAPACITA' TRASFORMANTE DI ONCOGENI VIRALI:
Sono definiti oncogeni poiché presentano nel loro genoma dei proto-oncogeni attivati appartenenti alla cellula eucariote: presentano delle sequenze geniche che corrispondono a molti geni (oncogeni) che nella cellula hanno funzione normale, mentre nei virus sono presenti in una forma mutata (attivata), nella forma di proto-oncogeni.
Un virus che nel proprio genoma presenta pezzi del genoma cellulare è un retrovirus: questo entra nella cellula e con la trascrittasi inversa trasformano il loro genoma da RNA in DNA, lo integrano con quello della cellula ospite, dopodiché ritrascrivono il proprio genoma ricreando dei genomi ad RNA che possono essere rincapsidati e possono produrre una nuova progenie di retrovirus. Durante questo processo può accadere che quella che definiamo progenie sia formata da virus che hanno inglobato dei geni cellulari, che erano situati nei punti in cui il virus è entrato.
Nel caso specifico, il genoma virale si integra in punti del genoma ospite che possono essere vicini a degli oncogeni: i nuovi genomi che si formano possono portarsi questi proto-oncogeni in una forma attivata. Quindi, se il retrovirus è portatore di un proto-oncogene attivato, nel momento in cui infetterà nuove cellule, conferirà loro dei vantaggi proliferativi di iperattività che quell’oncogene induce.
1.1 MUTAGENESI INSERZIONALE:
Un virus anche se non è oncogeno (non ha inglobato nel genoma l’oncogene attivato) può diventare oncogenico anche se effettua una mutagenesi inserzionale: l’integrazione di un genoma virale nella cellula ospite può determinare una mutazione nel punto in cui “atterra”: se il genoma virale si integra a monte di un proto-oncogene e comincia a farlo lavorare con meccanismi che dipendono dalle proprie sequenze regolative, quel proto-oncogene si svincola da regolazioni proprie della cellula e risponde ad elementi regolativi del genoma virale, che si è integrato nella cellula:
- Il genoma può essere mutato nella struttura, come nell’esempio delle proteine RAF che presentano un dominio chinasico ed uno regolativo: se il virus che attacca la cellula e si inserisce nella sequenza che codifica per RAF, in particolare tra la regione chinasica e quella regolativa, la sintesi delle proteine sarà guidata proprio dalle sequenze regolative virali e porterà ad una attività chinasica deregolata, poiché attuata da proteine deregolate;
- I virus, inoltre, inserendosi nel genoma ne possono regolare l’espressione in maniera anomala: pone a monte del gene delle sequenze regolative iper-funzionanti, facendo esprimere di più quel particolare gene che non si muta ma viene espresso in maniera anomala.
1.2 PROTEINE VIRALI:
Ci sono virus che non generano mutazioni nel genoma cellulare ma creano proteine virali che interferiscono con la funzione delle proteine cellulari (ruolo oncosoppressivo), sottraendone la loro funzione.
Target di queste proteine sono:
- L’RB (retinoblastoma), sottraendolo alla sua attività di inibitore dell’attività trascrizionale di E2F, quindi ad attività oncosoppressiva: la cellula si svincola dal controllo negativo del ciclo cellulare e più la cellula prolifera più è soggetta a mutazioni che possono causare la comparsa di cancro quando si arriverà alla mutazione dei geni responsabili dell’attività metastatica;
- Le proteine del papilloma, E6 ed E7, in grado di inattivare i due oncosoppressori più importanti della cellula, ovvero RB e P53.
- ORIGINE CLONALE DEI TUMORI:
Tramite un esperimento sui tumori che insorgono in un soggetto femmina, si è visto che tutte le cellule tumorali avevano inattivato lo stesso cromosoma X, quando fisiologicamente un tessuto per quanto riguarda l’inattivazione dell’X è una chimera (non tutte le cellule presentano lo stesso cromosoma X inattivato: alcune inattivano l’X di origine materna e altre di origine paterna). Perciò, questo porta alla conclusione che, se tutte queste cellule presentano lo stesso cromosoma X inattivo devono per forza essere cloni di un’unica cellula. Quindi, il tumore può essere visto come una malattia genetica in cui una determinata caratteristica (in questo caso inattivazione dell’X) viene trasmessa dalla cellula madre alle cellule figlie.
- MOLTI CANCEROGENI SONO MUTAGENI:
Tramite il test di Ames, che permette di valutare la capacità mutagena di una sostanza mettendola a contatto con cellule del fegato, poiché queste
producono enzimi che nell’organismo hanno la funzione di detossificare, ma anche il contrario, cioè di attivare sostanze
pro-tossiche, si è giunti alla conclusione che alcune molecole associate a tumorigenesi, ne sono responsabili in quanto in grado di provocare mutazioni.
- PRESENZA DI MUTAZIONI GENICHE E ABERRAZIONI CROMOSOMICHE:
Le mutazioni che ritroviamo sono:
• mutazioni puntiformi = possono interessare sia oncogeni che oncosoppressori, infatti possono sia rendere più attivo un gene e allo stesso tempo, se colpiscono una ORF e mandano fuori frame una cornice di lettura, possono risultare inattivanti;
• delezioni = interessano principalmente gli oncosoppressori, perché si tratta di una mutazione che “toglie” qualcosa;
• amplificazione genica = può portare un oncogene ad essere presente, non più in singola copia ma, in multicopia;
• riarrangiamenti cromosomici = possono essere compatibili sia con gli oncogeni che con gli oncosoppressori, poiché una traslocazione che interessa un oncosoppressore può togliere di mezzo una funzione oppure, portandolo in una zona eterocromatinica, non farlo più esprimere, allo stesso modo, se abbiamo un proto-oncogene e lo inseriamo tramite traslocazione in una porzione che funziona di più questo viene iperattivato.
Un esempio è quello di RAS, un’oncoproteina che se funziona di più diventa pericolosa, soggetta a tipiche mutazioni puntiformi che tolgono funzione per farne acquisire un’altra: se noi mutiamo RAS nel sito GTPasico (sito di idrolisi di ATP che serve ad auto-spegnersi) questa sarà sempre attiva.
Un altro esempio che si ritrova soprattutto nei tumori cerebrali è l’amplificazione del gene myc.
TECNICHE DI LABORATORIO:
PRATICHE DI LABORATORIO PER OTTENERE ONCOGENI:
Se vogliamo realizzare dei modelli sperimentali che possano servire allo studio della disfunzione di questi geni, dobbiamo effettuare dei silenziamenti genici o degli animali knock-out.
Studi sulla proliferazione cellulare, sull’apoptosi o sul differenziamento, possiamo anche semplificarli se li andiamo a realizzare, ad esempio, in colture cellulari in laboratorio, andando a manipolare i geni di queste cellule: o iperattivandoli o inibendoli.
L’iperattivazione genica è abbastanza semplice in laboratorio: nelle cellule in coltura andiamo a trasferire (con procedure sperimentali abbastanza semplici) dei geni esogeni che possono funzionare molto in quel tipo cellulare, vedendo poi gli effetti biologici di questa over espressione.
Nell’altro caso possiamo effettuare dei silenziamenti con delle caratteristiche diverse: o facciamo un vero e proprio silenziamento genico, lavorando direttamente su sequenze specifiche del DNA delle cellule (ad esempio usando sistemi di ricombinazione omologa come il metodo CRISPR/Cas); oppure possiamo procedere in maniera transitoria, facendo delle inibizioni transitorie di alcune funzioni geniche utilizzando altri strumenti biotecnologici (come i microRNA
che hanno proprio la funzione di silenziare dei target legandosi specificamente a trascritti di RNA, portandoli o alla degradazione o impedendone la traduzione).
Possiamo quindi sintetizzare in laboratorio questi RNA silenziatori, chiamati siRNA (sono degli RNA simili ai microRNA, che lavorano come questi ultimi), specifici per il target che ci interessa, per poi trasferirli all’interno delle cellule che vogliamo manipolare, silenziando specifici prodotti. In questo modo effettuiamo delle inattivazioni transitorie, perché non stiamo manipolando direttamente il genoma, ma stiamo interferendo sulla sua espressione relativamente ad alcuni prodotti.
FARE ELENCO:
- Wee1;
- Le proteine CHK1 e CHK2 (sono delle chinasi in grado di fosforilare Cdc25 inibendone la funzione fosfatasica che attiva i complessi ciclina-CKD). Questa fosforilazione di Cdc25 può essere di natura diversa: o può comportare il suo non funzionamento come fosfatasi, o (in caso di iperfosforilazione) può comportare la proteolisi di
Cdc25; - BRCA1 e BRCA2 sono oncosoppressori perché sono enzimi coinvolti nella riparazione di un danno nel DNA.
ELENCO DI MOLECOLE CHE POSSONO DIVENTARE PROTONCOGENI:
- RAS;
- Map-chinasi;
- Recettori delle RTK che dimerizzano a prescindere dal legame con la GTP;
- Cdk e cicline;
- Gene myc;
- Cdc25;
ESEMPIO MUTAZIONE RAS:
Nell’esempio di Ras (protooncogene), basta una singola mutazione puntiforme del gene per creare problemi: riguarda il sito catalitico dove avviene l’idrolisi del GTP: se si perde la funzione di idrolisi, Ras diventa costitutivamente attivo, ovvero una perdita di funzione enzimatica gli fa acquisire una funzione di
attivazione della cascata delle MAP-chinasi a valle. Quindi anche se è una mutazione per perdita di funzione, risulta essere una mutazione che si esprime con un carattere dominante (basterà,
anche in eterozigosi, che ci sia un allele mutato per formare una quantità di proteina Ras sempre attiva che può continuare a trasmettere un segnale di proliferazione).
La sua mutazione iperattivatoria può interferire non solo con la via della trasduzione del segnale dei Trk, ma anche con tutte le altre vie che prevedono un cross-talk molecolare con questa proteina. Ad esempio, la Ras è anche importante per la via della fosfatidilinositolo-3-chinasi. Tramitequesta via, la proteina Ras mutata può portare ad una inibizione dell’apoptosi. Oppure nella via
dell’AKT, in cui accade che questa proteina può essere attivata da una Ras iperattiva, e quindi portare ad una inibizione dell’apoptosi, cosa che nelle fasi iniziali del tumore ne aiuta la proliferazione (perché in questa fase del tumore, l’apoptosi molto spesso toglie di mezzo cellule inizialmente trasformate e non le fa moltiplicare).
GENE N-MYC:
Variante del gene Myc, è anch’esso un importante protooncogene, che è stato trovato amplificato (nel proprio cromosoma) in multi-copia, in maniera quasi caratteristica, in alcune forme di tumore del cervello (di un neuroblastoma) determinando una stimolazione abnorme di tutta la trascrizione-ciclo cellulare-correlata che dipende da questo fattore di trascrizione.
TRASLOCAZIONI CROMOSOMICHE
CROMOSOMA PHILADELPHIA:
Il Cromosoma Philadelphia è un cromosoma nuovo, che non esiste in natura, che è caratteristico delle cellule della leucemia mieloide cronica. Per tantissimo tempo, prima che venisse identificato questo cromosoma e
capito cosa comportava molecolarmente, la presenza di questo mini-cromosoma in esami di citogenetica semplici, permetteva la diagnosi di questa determinata patologia. Alla base del fenotipo che si ha a livello di queste cellule leucemiche, c’è una traslocazione cromosomica che avviene tra il cromosoma 9 e il cromosoma 22, la quale porta alla formazione di un gene nuovo che si crea per fusione di due sequenze codificanti che si uniscono. Questo gene si dice di fusione, e coinvolge due protooncogeni (uno per ogni cromosoma coinvolto) che sono chiamati ABL e BCR, i quali insieme creano il gene ABL-BCR.
- L’ABL è un gene che codifica per una tirosina-chinasi citoplasmatica (non recettoriale), che normalmente nella cellula fosforila tutta una serie di target, i quali sono
coinvolti in moltissimi processi (proliferazione, differenziamento, apoptosi); - Il gene BCR codifica per una serina treonina-chinasi, anch’essa con dei target importanti (per la riorganizzazione del citoscheletro, l’acquisizione di motilità, ecc.).
Quando si fondono queste due sequenze, il gene nuovo codifica per una chinasi potentissima, completamente deregolata dagli elementi di controllo a monte, che comincia a funzionare in maniera assolutamente incontrollata nella cellula (comincia a fosforilare tutto quello che gli capita a tiro), determinando in questo modo il fenotipo tumorale dei linfociti coinvolti in questa tipologia di leucemia. Questo nuovo cromosoma che si crea viene appunto chiamato cromosoma Philadelphia, che non è solo marcatore ma è anche causa della patologia.
LINFOMA DI BURKITT:
Un esempio tipico è quello che si verifica in un’altra patologia ematologica tumorale, il Linfoma di Burkitt. Anche in questo caso si verifica una traslocazione, tra
il cromosoma 8 e il cromosoma 14, ma non si formano geni di fusione, viene interessato dalla traslocazione il gene myc (che normalmente sta sul cromosoma 8).
Proprio su quest’ultimo cromosoma, è situato il locus che serve alla produzione delle immunoglobuline (anticorpi) e dei recettori dei linfociti T (corrispondente
cellulare degli anticorpi). Il gene myc si va a mettere sotto il controllo di elementi regolativi che regolano l’espressione delle immunoglobuline. Questi elementi regolativi in una cellula linfocitaria funzionano tantissimo, sono delle sequenze regolative iperattive. Quindi se sotto quegli elementi ci finisce il gene myc (anche se quest’ultimo può essere non mutato), subisce il controllo trascrizionale iperfunzionante di quei geni, e comincerà ad essere espresso come se fosse un’immunoglobulina (un’espressione genica potente di myc).
PERDITA DI FUNZIONE:
A volte le inattivazioni di oncosoppressori possono essere indipendenti da alterazioni genetiche e epigenetiche. Ovvero si può avere inattivazione anche se il locus del gene è normale, senza mutazioni delle sequenze codificanti o delle sequenze regolative, né modifiche epigenetiche. In questi casi l’inattivazione può dipendere da proteine. Un esempio è quello operato da alcuni virus: il virus del papilloma (HPV) produce le proteine E7 ed E1A, che si legano specificamente a oncosoppressori (ad esempio P53 o RB), inattivandoli. Quindi gli oncosoppressori sono sani ma sottratti della loro funzione, e di conseguenza la cellula prolifera in maniera deregolata e può accumulare mutazioni in vari punti del genoma, e anche in oncosoppressori e in oncogeni.
POLIPOSI ADENOMATOSA DEL COLON APC:
È una malattia familiare, la cui alterazione che la causa viene ereditata.
È caratterizzata da moltissimi polipi del colon (ovvero la proliferazione incontrollata della mucosa del colon), e quindi c’è un’altissima probabilità che qualcuno di essi evolva verso il tumore del colon.
A determinare la formazione dei polipi è una mutazione che colpisce l’oncosoppressore APC (da non confondere con l’APC che abbiamo visto nel controllo del ciclo cellulare a livello della mitosi), che fa parte di un complesso multiproteico, chiamato complesso di distruzione perché quando si forma è in grado di legare alcuni substrati e di fosforilarli e quindi mandarli in proteolisi. Uno dei substrati che viene reclutato da questo complesso di demolizione è
la beta-catenina, una proteina coinvolta nella trasduzione del segnale. La beta-catenina, che si attiva quando viene attivata la trasduzione del segnale, finisce nel nucleo e si lega ad altri complessi e diventa un importante attivatore trascrizionale, attivando la trascrizione di vari geni tra cui Myc (quindi scatena il grosso dell’espressione genica coinvolta nel ciclo cellulare). Quindi una regolazione negativa della beta catenina comporta una regolazione negativa del ciclo cellulare, poiché se la beta catenina viene distrutta dal complesso, non entra nel nucleo e non attiva il gene
Myc. Se si ha una mutazione che fa perdere funzione ad APC, tutto il complesso non funziona più sui suoi reclutati.
Un altro di questi substrati che vengono reclutati è la proteina Snail, importante fattore di trascrizione coinvolto nella transizione epitelio mesenchima.
In particolare è la mutazione del gene P53 che causa il passaggio da adenoma a carcinoma. A questo punto non si ha più il controllo delle mutazioni poiché la proliferazione è molto avanzata, e in particolare si hanno mutazioni che portano alla metastatizzazione.
IL CANCRO E' UN PROCESSO MULTISTEP:
È necessario che si accumulino tante mutazioni affinché la cellula diventi veramente tumorale, e che si accumulino poi le mutazioni decisive affinché il tumore diventi metastatizzante.
Quindi è logico che l’incidenza dei tumori aumenti con l’età, poiché andando avanti è più probabile che vengano accumulate mutazioni, una delle cose che da sempre hanno fatto immaginare che i tumori potessero essere dovuti ad alterazioni genetiche.
Generalmente una singola mutazione, a meno che non si tratti di iperattivazioni di chinasi come nel caso del cromosoma philadelphia o del linfoma di Burkitt, non causa un tumore.
Il cancro si genera per accumulo. Immaginiamo una cellula normale che acquisisce una particolare mutazione e comincia a spingere un po’ di più lungo il ciclo cellulare. È poi possibile che una delle cellule che derivano da questa cellula mutata acquisisca un’altra mutazione, e così via per le generazioni successive. Se ognuna di queste mutazioni determina un vantaggio proliferativo di quella cellula sulle altre, avrò la nascita di un clone. Ma in realtà nei cloni (e quindi nei tumori) ho eterogeneità di mutazioni perché alcune cellule ne hanno accumulate di più, altre meno e diverse; in particolare a un certo punto una di queste
cellule acquisirà una mutazione che le conferisce la capacità di metastatizzare, e quindi saranno queste cellule che andranno in giro a determinare tumori secondari.
RETINOBLASTOMA:
In queste famiglie si verifica la teoria del doppio colpo.
Nel retinoblastoma sporadico, ovvero quello che insorge ex novo (non ereditario) avviene una prima mutazione e poi una seconda mutazione che interessa l’allele sano, e quindi si ha omozigosi.
Invece nel retinoblastoma familiare una prima mutazione viene ereditata, cioè un allele viene ereditato già mutato (primo colpo), e poi ho un’altra mutazione nell’allele sano (secondo colpo).
Ma questa seconda mutazione avviene nella quasi totalità dei casi, quindi non può trattarsi di una mutazione indipendente. Ciò che avviene è un processo chiamato perdita di eterozigosità, ovvero accade qualcosa per cui la cellula da eterozigote diventa omozigote per la mutazione.
Può avvenire in due modi:
1) Non-disgiunzione mitotica in una cellula della retina: ho i 2 cromosomi 13 omologhi, uno sano e uno malato, con i relativi cromatidi fratelli; si verifica una non disgiunzione dei cromatidi fratelli del cromosoma mutato. Quindi si formerà una cellula con tre cromosomi 13, di cui due mutati e uno sano. La cellula cerca nelle successive divisioni di ripristinare il numero corretto di cromosomi, e in particolare se per farlo si libera del cromosoma tredici sano, avrò due cromosomi 13 entrambi mutati, e quindi ho una cellula omozigote per la mutazione.
2) Ricombinazione tra cromatidi non fratelli di cromosomi omologhi: ho un cromosoma dicromatidico sano e uno malato; dopo la ricombinazione ognuno dei due cromosomi avrànun cromatidio sano e uno mutato. Se a seguito della separazione (in mitosi) i due cromatidi malati vanno nella stessa cellula figlia avrò una cellula omozigote per il gene mutato.
Perché, nonostante il gene mutato ereditato sia presente in tutte le cellule, la perdita di eterozigosità si verifica solo nella retina? Perché la retina è un organo molto proliferativo nelle prime fasi di sviluppo, cioè avvengono molte mitosi, e quindi c’è un’alta probabilità che si verifichino questi fenomeni essendo essi associati alla mitosi; sia perché questi processi vengono influenzati da elementi tessuto-specifici della retina che ancora non sono stati scoperti. Può essere curato se diagnosticato subito; molto importante per questo è la diagnosi prenatale per vedere se il bambino ha ereditato dal genitore eterozigote l’allele sano o quello mutato.