Sul fenomeno di abbandono “volontario” da parte alcune fra maggiori firme giornale milanese dopo l’8 sett influirono sia ragioni di coerenza, sia ragioni morali, alle quali aggiunsero valutazioni di tipo opportunis co, di fronte ipotesi di lanciarsi sfida che appariva fatalmente des nata al fallimento.
Il nuovo dire ore «Corriere», il redivivo Ermanno Amicucci, al suo arrivo al giornale> chiara questa sensazione. Dopo tentato di riannodare i rappor con chi, fino crollo 25 luglio, collaborato con il giornale, il 26 ott, su ordine prefe ura> inviare serie di raccomandate a scopo di convincere i recalcitranti a tornare nei ranghi. Ben presto> atto che, persino tra chi aveva acce ato riprendere il lavoro, a prevalere era chiara propensione a «deresponsabilizzare» il proprio operato.
Alcuni di ques giornalis> collaborare il movimento resistenziale, altri scrivere su organi della stampa clandes na an fascista.
L’ampio ricorso all’attendismo e sostanziale ritrosia ad «entrare mischia» no preroga va esclusiva di chi, dopo stato per mol anni corifeo del regime, decise di prendere distanze dal nuovo fascismo repubblicano: a esserne coinvolto fanche chi, pur decidendo di aderirvi, si oppose sino all’ul mo a richieste firmare i propri pezzi o occuparsi di ques oni «poli che».
anche chi, agli invi di Amiucci a ripresentarsi giornale, ritenne conveniente non rispondere per nulla. Anche intelle uale calibro di Giovanni Gentile invitato da Amiucci a collborare giornale, con “almeno un paio” di ar coli al mese.
All’atto pra co sua collaborazione limitata> un solo ar colo=appello di concordia degli animi, fu del resto sufficiente a scatenare gli attacchi dei fascis intransigen . Pessimi esiti> tenta vo di Amiucci pubblicare sul “Corriere”, dopo morte filosofo siciliano, un ar colo in suo onore.