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GENDER E MEDIA. VERSO UN IMMAGINARIO SOSTENIBILE PARTE SECONDA
Gender advertisement
Le rappresentazioni di genere diffuse attraverso spot pubblicitari in che misura sono in grado di influenzare i delicati processi di definizione della soggettività?
A partire dall’approccio dei cultural studies, il focus è sulla reciproca influenza tra immagini di genere contenute nei testi mediali, rappresentazioni sociali e processi di definizione delle soggettività.
Secondo Goffman (1979) le rappresentazioni del rapporto di genere sono costruite a svantaggio delle donne.
Il culture jamming
Il culture jamming [interferenza culturale] è un movimento, presente soprattutto in USA e Canada, che coinvolge attivisti contro il potere del brand e dell’immagine veicolata dalla pubblicità.
L’obiettivo è quello si sovvertire il discorso delle pubblicità attraverso strumenti di azione critica come la parodia, il plagio e il détournement [spiazzamento, strappare oggetti dalla loro collocazione abituale per inserirli in un contesto semantico nuovo, avviando così una riflessione critica
«La guerriglia semiologica»
Movimento ispiratore è stata a rivista canadese «Adbusters» i cui bersagli privilegiati sono le multinazionali del tabacco, del fastfood, dell’alcool e della moda.
Il termine «guerriglia semiologica» è stato attribuito da Umberto Eco (1973) riferendosi alla possibilità da parte del lettore di opporsi alla lettura dominante di un testo.
Il culture jamming è in effetti il tentativo di ribaltare i codici culturali inscritti nel testo mediale della pubblicità per aprire una riflessione critica sulle pratiche di consumo, sulla capacità persuasiva dell’advertising, e sulla subordinazione dei nostri desideri agli imperativi delle grandi imprese
Modalità di culture jamming
Lo stravolgimento può avvenire in tre modi differenti:
Subvertising: utilizzare la pubblicità in modo contrastante rispetto ai suoi iniziali obiettivi.
Billboard banditry: interventi grafici di personalizzazione delle affissioni pubblicitarie.
Media hoaxing o fake: ingannare i giornalisti inserendo nel circuito mediatico notizie false per creare eventi veri
Gender subvertisements
Dal punto di vista di genere, il culture jamming ha preso di mira soprattutto le immagini di modelle filiformi, giovani e perfette, ha smascherato il narcisismo maschile ma anche l’autodistruzione femminile (p. 225
Esempi di sabotaggio
«Barbie Liberation Front», progetto della ®tm ark per stravolgere la visione stereotipata della sessualità e della vita dei giocattoli della Marvel.
«Queer Power», trasposizione ludica della Queer Theory in cui il giocatore può cambiare in tempo reale la propria identità sessuale
«Guerrilla Girls», un gruppo di artiste che occupano gli spazi artistici con il fine di evidenziare le discriminazioni di genere nel mondo dell’arte.
Il caso delle «Guerrilla Girls» (1)
Questo manifesto illustra una serie di contraddizioni tipiche del sessismo e del razzismo nel mondo artistico e mostra la strategia retorica principale del collettivo «Guerrilla Girls» fondata su una denuncia irriverente ed ironica dell’esclusione.
• Nel 1985 la prima azione delle GG fu una batteria di manifesti che invase importanti gallerie d’arte. Tali poster evidenziavano il carattere istituzionalizzato del sessismo e del razzismo nel mondo dell'arte:
“THESE GALLERIES SHOW NO MORE THAN I0% WOMEN ARTISTS OR NONE AT ALL”. "THESE CRITICS DON'T WRITE ENOUGH ABOUT WOMEN ARTISTS“.
"WHAT DO THESE ARTISTS HAVE IN COMMON? THEY ALLOW THEIR WORK TO BE SHOWN IN GALLERIES THAT SHOW NO MORE THAN I0% WOMEN ARTISTS OR NONE AT ALL”.
Il caso delle «Guerrilla Girls» (2)
Le azioni di sabotaggio sono realizzate mantenendo l’anonimato individuale, creando una identità collettiva attraverso la maschera del gorilla. In questo modo si forniva protezione ai singoli membri del collettivo da eventuali ritorsioni e si manteneva l’attenzione sulle questioni evidenziate più che sugli individui (Demo, 2000).
Secondo Anne Teresa Demo (2000), l’approccio che fonda tali azioni può essere definito «perspective by incongruity»: esso provoca cioè un cambiamento evidenziando contraddizioni nell'ordine sociale, confrontando con tono dissacrante i miti e le negazioni del sessismo istituzionalizzato [ivi, p. 152].
Nel drammatizzare l’incongruenza della presunta uguaglianza di genere e razziale, il gruppo mette in atto visioni alternative basate sulla diversità e sulla giustizia sociale.
Gender studies e cinema
Negli anni ‘70 emerge una convergenza tra attività politica, movimento delle donne e film studies.
Le prime analisi si concentrano sulle immagini e i ruoli femminili con l’intento di analizzare il rapporto tra la rappresentazione visiva del femminile e l’esperienza quotidiana delle donne.
La prima critica femminista aveva l’obiettivo di capire se il cinema fosse un dispositivo riproduttivo rispetto agli ideali di genere del frame culturale patriarcale.
La Feminist Film Theory (FFT)
La FFT (anni’70) prende la lezione strutturalista e della psicoanalisi per comprendere l’oppressione delle donne come gruppo e guardare alle differenze di grado nell’oppressione in base alla classe sociale di appartenenza.
La domanda è: perché le donne occupano il posto che occupano nel mondo dei film?
Secondo Mulvey (1975) il cinema hollywoodiano replica il rapporto di subordinazione del femminile verso il maschile che caratterizza la società patriarcale attraverso specifiche strategie.
L’esperienza cinematografica attiva due pulsioni:
il voyeurismo, che nasce dal piacere di usare un’altra persona come oggetto di stimolazione sessuale attraverso la vista.
il narcisismo, che deriva dall’identificazione del soggetto con l’immagine, tramite la fascinazione provocata dal riconoscimento del proprio simile.
Queste dinamiche non sono ugualmente disponibili per lo spettatore e la spettatrice. Perché?
Visual Pleasure and Narrative Cinema
[Laura Mulvey, 1975]
Il piacere di guardare è attivo/maschile vs passivo/femminile: la funzione della donna è puramente erotica e sostiene il desiderio maschile, motore dell’azione narrativa.
Poiché è il personaggio maschile a dominare la scena, con l’azione e lo sguardo, solo l’uomo in sala potrà identificarsi con l’eroe.
Mulvey nega quindi l’esistenza stessa della spettatrice, ovvero la possibilità che in sala una donna possa provare piacere. Tuttavia:
Come si può spiegare la massiccia presenza del pubblico femminile in sala?
É possibile che le donne si identifichino solo con l’oggettivazione e la sottomissione?
O è pensabile che ci sia un processo di identificazione che generi piacere? Si può quindi concepire il desiderio femminile in forme meno subordinate?
È la stessa Mulvey che risponde alle domande attraverso una prospettiva freudiana sostenendo che la spettatrice può identificarsi con l’eroe in virtù della regressione alla fase attiva pre-edipica:
«il cinema strutturato attorno al piacere maschile consentirebbe alla donna spettatrice di riscoprire quell’aspetto perduto della sua identità sessuale, il mai pienamente represso fondamento della nevrosi femminile».
Il punto di vista di Mulvey, pur avendo dei limiti, apre a diversi tentativi di scoprire nel cinema immagini in cui il desiderio femminile si scopre meno soggiogato o in cui emergono forme del desiderio e dell’identità maschile diverse dal controllo e dal potere sadico.