■ Jessie Daniels (2009) evidenzia come le tecnologie digitali spesso riproducono, piuttosto che sovvertire, culture e gerarchie bianche, eterosessuali e maschili. In particolare, il limite dell’utopismo cyberfemminista è di considerare il “genere” come una categoria unificata, connotando perciò l’uso delle tecnologie digitali indipendentemente dalle differenze di razza, classe e sessualità. Come mostra Rhadika Gajjala (2003) nella sua analisi sulle diaspore digitali nel continente asiatico, per poter sovvertire i discorsi dominanti negli ambienti tecnologici esistenti, è necessario tener conto delle intersezioni del cyberspazio con le gerarchie dell’economia politica globale.