Alfieri effonde la sua pietà per l'infelice sorte degli uomini, simboleggiata da Mirra, in particolare dal suo dissidio interiore, innocente e colpevole, vittima di un "qualcosa" che si sviluppa dentro di lei e di cui non è responsabile, ma da cui è contaminata e distrutta.
Non vi è più lo scontro della volontà dell'eroe con il mondo esterno, ma il conflitto si trasferisce nel profondo della coscienza, tra la passione sconvolgente, che nulla può soffocare, e la legge morale che l'eroina accetta senza residui. La tragedia si interiorizza, l'eroe non è più una figura gigantesca e monolitica, ma intimamente contrastata e perplessa.