Tutto questo per arrivare alla domanda principale, quali sono le nuove forme di catalogazione nell’era di internet?
Dina Kelberman,
I’m Google, 2011 Posso fare una raccolta di foto di qualsiasi genere, la volontà enciclopedica insita nella fotografia stessa che richiama Susan Sontag. Il titolo Io sono Google, nel doppio senso del termine: tutte queste immagini sono prese da Google, e quindi l’opera è Google, ma anche l’autore dice di essere Google, perché ormai il mio rapporto con gli oggetti passa per il motore di ricerca, per gli archivi delle immagini.
L’opera evidenzia l’essenza stessa di Google: un archivio di tanti oggetti molto diversi e comuni.
L’attribuzione di senso nuovo scatena le menti nelle direzioni più disparate ed inconsuete, come quelle di Felix Hayes e Benjamin West, Google, volume I, 2014: un dizionario in cui sono state messe in ordine alfabetico le immagini risultanti dalla ricerca su Google.
Juan de Junco, El sueño del ornitologo, 2008 Il problema della classificazione, quale sistema di archiviazione devo utilizzare, perché tutti sono arbitrari: questa è la classificazione di uccelli in un museo di ornitologia, astrae gli uccelli mettendoli su sfondo bianco, quindi decontestualizza l’animale, processo che fa la scienza. Quindi viene presentato come un sogno, non è la realtà, non è la scienza come la intendiamo noi.
È l’esasperazione dell’impulso archivistico
Ira Lombardía, Influencer, 2016 Ha preso l’opera di Duchamp La ruota di biciclette e ha cercato tutte le volte che quest’opera è stata riprodotta sui libri di divulgazione di tutto il mondo e poi anche in Internet ed ha intitolato l’opera Influencer.
Joan Fontcuberta, Googlegramma: Ozono, 2006 Singole fotografie disposte dal programma in quella posizione a formare un’unica grande immagine a formare un’altra immagine: idea della massificazione, dell’essere tutto sullo stesso piano, ma che disegna anche un ulteriore immagine, non è tutto così svuotato e disperso, c’è immagine nelle immagini. Come le immagini di Abu Ghraib di Fontcuberta che abbiamo visto nelle lezioni precedenti.
Alessandro Calabrese, A Failed Entertainment, 2016 Invece di mettere le immagini una accanto all’altra come abbiamo visto finora, decide di sovrapporle. Il disordine si crea dove dovrebbe esserci ordine
Quest’opera è la più esemplare del post fotografico: sono 275 mila fotografie, disposte a formare una nuvola, per richiamare l’idea di archivio in cloud. Dono 275 mila perché l’autore ha scoperto che, la maggior parte delle macchine fotografiche, sono state progettate per realizzare 275 mila fotografie, dopodiché si usurano e devono essere buttate. Perciò lui ha scattato tutte le fotografie che il dispositivo consentiva di realizzare, per poi inglobarle in quest’opera. È una metafora della vita della macchina fotografica e della sua vita (sono scatti della sua vita).
Roberto Pellegrinuzzi, Memoires, 2015 275.000 immagini: il canadese ha scoperto che le più conosciute marche di macchine fotografiche hanno un tot di scatti possibili, dopo di che le fotocamere sono da buttare. Egli ha scattato tutte le fotografie che il dispositivo poteva scattare, documentando tutta la sua vita per un periodo di tempo. C’è al tempo stesso tutta una parte della sua vita e tutta la vita della macchina fotografica: metafora della vita molto efficace.
Finora abbiamo sondato l’aspetto della ricerca nell’archivio.