E tuttavia si tratta anche di un film che può lasciare perplessi: per le stesse ragioni che lo fanno ammirare, La grande bellezza può apparire anche compiaciuto, narciso, autoreferenziale, nel modo in cui guida alla scoperta della «grande bellezza» nascosta nelle pieghe di Roma, indagata con curiosità dal regista e dal suo alter ego Toni Servillo. Da qui l’ovvio riferimento al Fellini de La dolce vita e di Roma, in cui si raccontavano la simbolica caduta di un «impero occidentale», la corruzione, il degrado e la morte di una intera nazione e di una intera civiltà. Quella di Sorrentino, dunque, è anche una riflessione, appunto, sulla «grande bellezza», sull’estetica del cinema e dell’immagine. Simili osservazioni si possono fare per Il divo dello stesso Sorrentino e Gomorra di Matteo Garrone, due film che, con il doppio premio a Cannes 2008, si pongono come primo punto di svolta del nuovo millennio.