Nei “Saggi sulla legge naturale” il pensatore inglese chiarisce che il diritto naturale è conoscibile alla luce della ragione naturale che tutti gli uomini posseggono, precisando che «per ragione non credo si debba intendere qui quella facoltà dell’intelletto di elaborare discorsi e dedurre argomentazioni, bensì alcuni principi pratici sicuri, dai quali scaturisce originariamente l’insieme delle virtù e tutto quanto è necessario alla buona formazione della morale: ciò che da questi principi rettamente si deduce, può esser detto a buon diritto conforme alla retta ragione»[5].
La legge di natura, nel quadro filosofico di Locke, non soltanto è conoscibile da parte dell’uomo, ma è altresì necessaria poiché senza di essa «non vi sarebbe né virtù né vizio, né merito per l’onestà né castigo per la malvagità: non esiste colpa, né reato ove non esiste legge»[6]. Nonostante questa conoscibilità quale requisito della universalità della legge naturale[7], è anche pur vero che non tutti riescono a conoscerla poiché «gli uomini, in quanto sono influenzati dai loro interessi e la ignorano per mancanza di studio, tendono a non riconoscerla come una legge che li obblighi ad applicarla ai loro casi particolari»[8]. Collocata la legge naturale a fondamento di ogni pensabilità giuridica e politica, Locke trae da questa l’esistenza giuridica dei tre principali diritti naturali: proprietà, libertà e vita[9].