Dopo la Seconda guerra mondiale, l'Italia vive un processo di modernizzazione ed industrializzazione. Il nuovo parlato italiano si diffonde fra i cittadini e i dialetti si incontrano e scontrano.
Negli anni Settanta il punto essenziale a livello sociale e istituzionale sta nella gestione della diversità linguistica e nell'individuazione di un'identità linguistica nazionale.
La diversità risiede nella presenza di dialetti e lingue delle minoranze storicamente presenti entro i confini nazionali (Consani, Desideri).
Al momento dell'Unità nazionale (1861) i cittadini che sapevano usare l'italiano o lo sapevano utilizzare alternandolo con il dialetto si aggira intorno al 2,5%. Lo Stato italiano unitario, così, ha innescato una marcia sempre più decisa verso l'italiano. Infatti, nel 2012 il 95,5% degli italiani è italofona, contro il 12,5% di dialettofoni.
Nonostante ciò, è scorretto pensare che i dialetti siano morti: essi rimangono vivi, infatti 25 milioni di italiani, se lo decide, parla dialetto.
Secondo i dati ISTAT le donne sono più italofone degli uomini, come i giovani e coloro che hanno maggiori livelli di scolarità lo sono rispetto al resto della saocietà.
Le regioni più dialettofone sono quelle dell'Italia meridionale e il Veneto.
Dai dati emerge un'Italia che sa usare una lingua comune, ma è ancora plurilingue, non volendo rinunciare al patrimonio espressivo dialettale.