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7.SOCWEL L’era Beveridgiana del welfare state (1940-1980) - Coggle Diagram

- - - - L’Inghilterra era uno stato in cui il rapporto tra la politica economica e il benessere dalla popolazione poteva prendere il nome di Welfare State.
        
        Se il welfare state moderno è nato alla fine del XIX secolo con Bismarck, l'attuale impianto dello Stato sociale dei principali paesi europei deriva
        
        dalle importanti riforme intraprese in Inghilterra nel periodo immediatamente successivo alla GM.
        
        Durante la guerra il governo di coalizione nazionale guidato da Churchill, nel cui gabinetto sedeva anche il leader laburista Attlee, diede l'incarico (nel 1942)
        
        all'economista William Beveridge, un dirigente del Ministero, di elaborare una indagine sulla condizione sociale degli inglesi:
        
        dal Rapporto Beveridge, come vedremo tra poco, traspariva una condizione molto negativa sullo 'stato del benessere' degli inglesi.
        
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- - - - ed è quindi un modello pienamente universalistico, mentre quello di assistenza sociale è rivolto solo ai poveri, tramite un processo di selettività economica (attraverso una “prova dei mezzi” richiesta ai beneficiari).
        
        In realtà Beveridge, pur prevedendolo, non era favorevole ad un utilizzo troppo ampio di misure di assistenza sociali fondate sulla selettività, che a suo avviso comportava trappola della povertà,
        
        e nel suo Rapporto aveva sì previsto una misura di reddito minimo means-tested, ma con una funzione residuale rispetto all'insieme di altre misure.
        
        La sua idea centrale per il sostegno al reddito si basava su un benefit a quota fissa e su base contributiva, per i periodi di disoccupazione e pensionamento,
        
        affiancato da un sistema di assegni per figli e da un sistema sanitario pubblico gratuito (e dall'ipotesi di piena occupazione).
        
        Per coprire tutti i bisogni non coperti da tale insieme di politiche, in particolare da coloro che non avevano accesso a quella contributiva,
        
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- - - - la ricetta di politica economica di Keynes proponeva un sostegno alla domanda di beni tale da creare un effetto virtuoso sui consumi e quindi sullo sviluppo economico di un Paese.
        
        Il sostegno alla domanda di beni poteva, dal punto di vista del welfare state, trovare risposta in una crescita della spesa sociale da parte dello Stato che aumentasse il benessere dei cittadini.
        
        Tale operazione quindi, in tale ottica non era solo un’ operazione utile sul versante della giustizia sociale
        
        (perché una maggiore spesa sociale contribuisce alla diminuzione della povertà e delle disuguaglianze, aumentando il benessere), ma anche sul piano della politica economica.
        
        Alla base del cosiddetto “moltiplicatore keynesiano” stava infatti l’ipotesi che l’aumento della spesa sociale avrebbe portato ad un incremento del benessere dei cittadini e quindi ad un aumento dei consumi dei cittadini stessi,
        
        che a sua volta avrebbe sostenuto lo sviluppo dell’ economia e quindi ad una migliore condizione economica sia per le imprese, che per le famiglie dei lavoratori (minore disoccupazione e maggiori salari),
        
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- - - - è dunque finanziato dalla fiscalità generale e rivolto esclusivamente ai cittadini poveri, coloro che avessero dimostrato un bisogno manifesto, tramite una “prova dei mezzi” (“means-test”),
        
        condizione necessaria per accedere a questo gruppo di politiche sociali:
        
        siamo quindi di fronte a politiche non universalistiche, ma rivolte esclusivamente ai bisognosi (selettività economica) che trovano la loro giustificazione economica proprio nelle idee keynesiane.
        
        Non tutti i paesi invece si introdurrà il terzo pilastro, quello costituito da politiche che si rifanno al schemi di “sicurezza sociale”, vale a dire pienamente universalistici:
        
        ma l’importanza di schemi universalistici è il secondo aspetto che contraddistingue l’era beveridgiana e che trova anch’esso una “sponda” nel dibattito che contraddistingue il contesto di quell’epoca.
        
        A cavallo del secondo dopoguerra e poi ancora più tra gli anni 50 e 60 infatti, si diffonde in Europa il dibattito sulla cittadinanza, che troverà poi con la formulazione di Marshall la sua maturità,
        
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