Fu respirato da un falco, discese nei suoi polmoni precipitosi, ma non penetrò nel suo sangue ricco, e fu espulso. Si sciolse tre volte nell’acqua del mare, una volta nell’acqua di un torrente in cascata, e ancora fu espulso. Se l’organicazione del carbonio non si svolgesse quotidianamente attorno a noi, sulla scala dei miliardi di tonnellate la settimana, dovunque affiori il verde di una foglia, le spetterebbe di pieno diritto il nome di miracolo. L’atomo di cui parliamo, accompagnato dai suoi due satelliti che lo mantenevano allo stato di gas, fu dunque condotto dal vento, nell’anno 1848, lungo un filare di viti.
Ebbe la fortuna di rasentare una foglia, di penetrarvi e di essere inchiodato da un raggio di sole. Entra nella foglia, collidendo con altre innumerevoli molecole di azoto e ossigeno. È destino del vino esser bevuto e destino del glucosio essere ossidato. Così una nuova molecola di anidride carbonica ritornò nell’atmosfera, e un poco dell’energia che il Sole aveva ceduto al tralcio passò dallo stato di energia chimica a quello di energia meccanica e passò alla condizione di calore, riscaldando impercettibilmente l’aria smossa dalla corsa e il sangue del corridore. Ogni duecento anni, ogni atomo di carbonio che non sia congelato in materiali ormai stabili entra e rientra nel ciclo della vita attraverso la porta stretta della fotosintesi. Consapevolmente o no, l’uomo non ha cercato finora di competere con la natura su questo terreno, e cioè non si è sforzato di attingere dall’anidride carbonica il carbonio che gli è necessario per nutrirsi, per vestirsi, per riscaldarsi e per gli altri cento bisogni più sofisticati della vita moderna