la stessa luce abita la pittura sacra di piepoli.nella pala per la chiesa dei gesuiti di venezia,ambientata in una specie di grande "capriccio" architettonico,la vergine domina tre sante domenicane chiuse nei loro pensieri,non c'è nemmeno quel muto dialogo di sguardi tipico delle sacre conversazioni veneziane del rinascimento:tutto è affidato agli oggetti e al loro rapporto con la luce,in una scalatura che comprende il legno della croce,e poi le sete,i rasi,le linee degli abiti,fino a l'impressionante nube rosa salmone che forma il trono della madonna densa come una spugna,tanto che la corda e la nappa del baldacchino le si appoggiano dolcemente sopra-viene quasi da pensare che tiepolo,riepilogando e concludendo due secoli e mezzo di maniera moderna,crea un distillato di purisima pittura del tutto autorefenziale.un arte fatta di arte e non di realtà,un'impressione,questa che viene rafforzata dalla difficoltà di dare spessore narrativo a una vita priva di eventi estremi,apparentemente priva di passione.e persino di parole e giudizio dell arte.tiepolo sembra essera essere nato e vissuto dentro alla sua pittura intrisa di luce
il risultato appare decantato come coperto e filato da una spessa lastra di cristallo,e il caso della sant'agata dipinta per l'altare maggiore della chiesa benedettine di lendinara,oggi a berlino.palida e bellissima,la santa volge gli occhi al cielo quasi a lamentarsi debolmente di ciò che le è stato fatto.qualcosa di atroce,i suoi seni sono sul piatto dell'indimenticabile valletto coperto da un cappa di seta gialla,e una compagna le copre le ferite con un lembo dell'abito che si intride di sangue.dietro il carnefice sta per passare ad altre nefandezze ma tutto è come bloccato,pronunciato a fior di labbra,tutto e insopportabilmente elegante,bello e appropriato
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