Il veleno d’ape è prodotto da specifiche ghiandole delle api di sesso femminile, collegate a una sacca contenitrice e a un pungiglione: le api operaie ne sono dotate per difendere l’alveare, attaccando eventuali aggressori. La regina invece, per uccidere le rivali: ogni alveare può avere infatti una sola regina, e quando nascono più regine nello stesso momento, si ha o una fuga di qualcuna di queste regine con l’ accompagnamento di un certo numero di api, o l’eliminazione, da parte di una regina nata, delle regine non ancora nate e ancora racchiuse nella loro cella, oppure una lotta mortale tra due regine. Le regine usano il loro pungiglione esclusivamente con le rivali. I fuchi invece non hanno pungiglione. Le api operaie molto giovani (nella prima settimana di vita) non hanno né il veleno, né l’istinto di pungere. Il massimo sviluppo si ha tra la terza e la quarta settimana di vita dell’ape, quando essa si predispone alla funzione di guardiana, proprio in coincidenza con lo sviluppo di quelle ghianSecondo il ricercatore egiziano Ahmed Hegazi, su uno dei primi rotoli di papiri egiziani risalente al 2000 prima di Cristo, sarebbe già menzionato l’uso terapeutico del veleno d’api tramite strofinamento sulle parti dolenti. Il veleno d’ape sarebbe stato conosciuto sotto questo aspetto anche in altre antiche civiltà, Babilonia, Assiria e Nibia. Il greco Ippocrate, considerato il “Padre della Medicina” e vissuto tra il 460 e il 410 prima di Cristo, l’avrebbe utilizzato per guarire artrite e altri problemi alle articolazioni e infiammatori definendolo “medicina strana e misteriosa”. Ne parlano anche il romano Plinio il Vecchio (23-79 dopo Cristo) nella sua Naturalis Historia, e il greco Galeno (129-216). Carlo Magno sarebbe stato guarito dalla gotta usando il veleno d’api. Fu probabilmente J. Langer, dell’Università di Praga, a provare per primo, nel 1897-99, a estrarre il veleno senza ammazzare l’ape, provocando l’estroflessione del pungiglione e raccogliendo il veleno in gocce all’interno di tubi capillari. L’apiterapia vera e propria nasce in Austria, a cavallo tra l’’800 e il ‘900, col dottor Philip Terc, che lo utilizzò in 25 anni di pratica su pazienti reumatici. La ditta Mack, nel sud della Germania, iniziò nel 1930 la preparazione commerciale del veleno. Le operaie prelevavano le api una ad una davanti all’ingresso dell’alveare e con una lieve pressione le inducevano a infilare il pungiglione in una stoffa assorbente. Qualche anno dopo venne introdotto un metodo meno laborioso, utilizzando una leggera scossa elettrica per indurre le api a infilare il pungiglione, un metodo che venne perfezionato nel 1960 in Cecoslovacchia, dove il materiale utilizzato permetteva alle api di sfilare il pungiglione lasciando il veleno. Questo è il metodo usato oggi. Pioniere della terapia col veleno d’api fu il medico ungherese naturalizzato americano Bodog Beck, autore di un testo classico dell’apiterapia, pubblicato nel 1930: “Terapia col veleno d’api”. Le sue tracce vennero seguite dall’apicoltore americano Charles Mraz, in oltre sessant’anni di pratica dal medico. Dall’inizio degli anni ’50 anche il dottor Joseph Broadman, di New York, praticò l’apiterapia per la cura di artriti e racchiuse la sua esperienza nel libro “Bee Venom, the natural curative for arthritis and rheumatism”, pubblicato nel 1962. Oltre che in America, la terapia col veleno d’api ha avuto importanti sviluppi in Russia e nei paesi dell’est europeo, Cina, Giappone, Corea, Canada, Francia, Germania, Svizzera e Austria.