Poiché, com’è ovvio, l’apporto irriguo deve compensare le perdite al netto delle precipitazioni e riserve idriche, ne deriva la seguente equazione:dove i primi tre termini sono voci passive del bilancio mentre, racchiuse tra parentesi, figurano quelle attive. Nella pratica, si stabilisce il momento dell’irrigazione quando le riserve idriche del terreno sono in via di esaurimento per i consumi legati all’evapotraspirazione. Qualora si verificassero precipitazioni, la loro entità deve essere misurata per spostare in avanti l’intervento irriguo. Questo metodo trova larga diffusione presso i consorzi di bonifica e necessita di una vasca evaporimetrica, di un pluviometro e della conoscenza dei coefficienti colturali . Per conoscere il giorno dell’irrigazione, è molto utile costruire una tabella riportando i valori giornalieri e progressivi dell’evaporato a partire da condizioni di riserva idrica del suolo molto prossima alla capacità di campo. Giornalmente si detraggono i consumi fino al giorno in cui le riserve d’acqua raggiungono il valore minimo per quella specifica tipologia di suolo: questo è il momento in cui occorre irrigare per ripristinare le riserve iniziali. Oltre ai metodi basati sull’installazione di strumenti (tensiometri, vasche evaporimetriche), molti agricoltori sanno individuare il momento dell’irrigazione giocando sull’esperienza maturata in anni di attività e sull’attenta osservazione delle colture. Al ridursi delle riserve idriche, la pianta manifesta – nelle ore più calde del giorno – chiari sintomi di sofferenza, dovuta allo sforzo via via maggiore che essa compie per procurarsi l’acqua. Il quadro sintomatologico è riconducibile ad accartocciamenti fogliari (es. il mais), perdita vistosa del turgone cellulare (es. barbabietola, soia, cucurbitacee), precoci ingiallimenti delle foglie: è giunto il momento per l’intervento irriguo.