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LA CUCINA DELLE OSTERIE E LA RINASCITA GASTRONOMICA DELLA FINE DEL…
LA CUCINA DELLE OSTERIE E LA RINASCITA GASTRONOMICA DELLA FINE DEL NOVECENTO
PREGI E DIFETTI DEI LOCALI POPOLARI
Grazie alle guide di viaggio, i turisti e gli italiani, potettero conoscere i piatti del territorio.
Nel 1910 Hans Barth pubblicò "Osteria".
Guida spirituale delle osterie italiane da Venezia a Capri.
Era documentata e di piacevole lettura, utile a conoscere la cucina regionale e popolare.
La moda delle osterie si diffuse rapidamente.
Il pubblico intese però l'osteria come locale folkloristico dove si beveva vino sfuso e l'ambiente aveva un'atmosfera popolare.
Ai piatti era richiesto di essere tipici, infatti nei menu molti piatti erano definiti con aggettivazioni locali.
Molte volte gli ingredienti non corrispondevano a quelli previsti dalle ricette regionali.
Barth aggiornò la sua guida e cominciò a costatare che le osterie erano sparite e al loro posto stavano sorgendo dei locali che utilizzavano ingredienti standardizzati.
LA RIPRESA DELLA RISTORAZIONE DI QUALITA'
Le osterie genuine continuavano ad offrire una ristorazione eccellete.
Al Bolognese (Milano) si facevano le tagliatelle a mano.
Come sfoglina (operatrice addetta a tirare la pasta fatta a mano) fu assunta Pina Bellini.
Venne definita come "la prima cuoca d'Italia.
Rielaborò la cucina regionale italiana attraverso il filtro della cucina classica e il passaggio nelle osterie.
Un altro interprete della "Cucina fra creatività e tradizione" fu Angelo Paracucchi.
Aprì anche locali a Parigi e in Giappone.
La sua innovazione si basò sulla conoscenza del patrimonio dei prodotti locali regionali.
Poi li confrontava con l'uso passivo che se ne faceva nella cucina quotidiana.
Infine cercava nuovi accostamenti e nuove tecniche per rinnovare il repertorio.
La semplicità, la scelta di impiegare solo materie prime di grande qualità e la capacità di innovare senza perdere di vista la tradizione furono all'origine del succeso.