La leggenda di Marco Attilio Regolo, raccontata da Tito Livio e cantata da Orazio, narra che Cartagine, dopo aver fatto prigioniero il console Regolo, lo abbia inviato a recarsi a Roma perché convincesse i concittadini a chiedere la pace. L'intesa era che, se questi non avessero accettato, egli sarebbe ritornato a Cartagine e sarebbe stato mandato a morte.
Regolo, in quegli anni di prigionia, aveva potuto agevolmente rendersi conto delle terribili condizioni economiche in cui giaceva la città nemica e probabilmente delle convulsioni politiche che sempre hanno contrassegnato Cartagine e ne hanno infine decretato la sorte. Anziché perorare la causa della pace, rivelò ai concittadini la condizione economico-politica dei nemici, esortando Roma a procedere con un ultimo sforzo, in quanto Cartagine non poteva reggere alla pressione bellica e sarebbe stata sconfitta.
Al termine del discorso, onorando la parola data, fece ritorno a Cartagine, dove fu giustiziato. Non si conosce l'anno preciso in cui ciò avrebbe avuto luogo, ma si suppone che ciò sia avvenuto nel 246 a.C., in quanto l'anno successivo la guerra riprese slancio con l'intervento cartaginese in Sicilia, guidato da Amilcare Barca. Le torture a cui Regolo fu sottoposto, ossia il taglio delle palpebre per l'abbacinamento e il rotolamento da una collina dentro una botte irta di chiodi, si ritiene oggigiorno siano frutto della propaganda bellica romana (Lucio Anneo Seneca parla di crocifissione come metodo di esecuzione).