I SEPOLCRI
Scritti da Ugo Foscolo nel 1806 e pubblicati nella primavera del 1807 i Sepolcri furono composti a seguito di una conversazione avuta con Ippolito Pindemonte nel salotto veneziano di Isabella Teotochi Albrizzi, intorno al problema, allora molto sentito, della sepoltura dei morti.
Il Pindemonte, che stava componendo un poema su I cimiteri, aveva difeso, da un punto di vista affettivo-religioso, l’istituzione delle sepolture contro la recente legislazione in materia che induceva a ignorare il culto dei defunti. L’editto di Saint Cloud (1804), che imponeva che le tombe dovevano essere poste al di fuori delle mura cittadine, in luoghi soleggiati e arieggiati, e che fossero tutte uguali e senza iscrizioni evitando così discriminazioni tra i morti (per i defunti illustri, invece, era una commissione di magistrati a decidere se far incidere sulla tomba un epitaffio), era stato esteso all’Italia, allora sotto il dominio napoleonico: un provvedimento che aveva dato avvio ad accesi dibattiti tra gli intellettuali del tempo. Foscolo non è innovativo per il tema sepolcrale infatti se da un lato accetta tale legge in quanto è un convinto materialista sostenendo che la morte non è altro che il disfacimento totale, dall'altro la respinge con il sentimento e cerca di superarla stabilendo tra i vivi e i defunti una corrispondenza d'amorosi sensi e sostenendo che i grandi uomini, esempi di virtù, non possano giacere in fosse comuni.
Infatti il carma mentre si apre con l'asserire l'inutilità delle tombe per i morti, ne afferma l'utilità per i vivi come centro sul quale si uniscono la pietà e il culto degli amici e dei parenti. La tomba diviene così simbolo delle memorie di tutta una famiglia attraverso i secoli realizzando una continuità di valori da padre in figlio, di valori ideali e civili di tutto un popolo e, infine, luogo in cui i valori sono resi eterni dal canto dei poeti.
Metro: carme in endecasillabi sciolti. Spesso, per l'ampiezza del discorso e per le necessità di arricchimento ritmico-stilistico, Foscolo ricorre sistematicamente all’enjambement, che dilata a dismisura la lunghezza del verso, e alla curatissima ricerca sulla disposizione degli accenti.
"I Sepolcri"
All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne
confortate di pianto è forse il sonno della morte men duro ? Ove più il Sole
per me 5 alla terra non fecondi questa
- bella d’erbe famiglia e d’animali,
e quando vaghe di lusinghe innanzi
a me non danzeran l’ore future ,
nè da te, dolce amico , udrò più il verso
e la mesta armonia che lo governa, 10. nè più nel cor mi parlerà lo spirtodelle vergini Muse e dell’Amore ,
unico spirto a mia vita raminga,
qual fia ristoro a’ dì perduti un sasso
Che distingua le mie dalle infinite
15.ossa che in terra e in mar semina morte?
Parafrasi del testo
Forse il sonno eterno della morte è meno doloroso
qualora l’estinto riposi all’ombra dei cipressi
e dentro le urne confortate dal pianto di chi è rimasto? Quando
davanti ai miei occhi il Sole non feconderà più sulla terra per questa
- bella popolazione di piante e di animali,
e quando davanti a me non danzeranno più le ore
future prodighe di promesse,
né sentirò più da te, dolce amico, la tua poesia
e l’armonia malinconica che la contraddistingue,
- e non parleranno più al mio cuore lo spirito
delle vergini muse della poesia e dell’Amore,
unico conforto per la mia vita di esule,
quale consolazione sarà per i miei giorni perduti una tomba
che distingua le mie ossa dalle infinite ossa che
- la morte sparge per terra e per mare?
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Quando (ove - quando) il sole (personificazione) ai miei occhi (per me) non fecondi più sulla (alla) terra
(il verso), dolce amico (apostrofe – si riferisce a Pindemonte)
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