I due obelischi presenti a Benevento, eretti in concomitanza con l'inaugurazione del tempio di Domiziano, danno ad Iside l'appellativo di "Signora di Benevento": ciò testimonierebbe che, a quel tempo, il culto della dea era già presente e ben radicato in città. Il culto di Iside arrivò in Campania tramite le vie del commercio, e precisamente attraverso il porto di Pozzuoli, ad opera di viaggiatori egizi o dell'area del Mar Egeo. Nel II secolo a.C. esistevano già il tempio di Iside di Pompei e il tempio di Pozzuoli dedicato a Serapide, una divinità paredra di Iside concepita in età tolemaica e diffusa tramite l'ambiente ellenistico. In questi templi, il culto delle divinità egizie era ampiamente rivisto in una chiave culturale ellenistica. Potrebbe essere stato ancora per dinamiche commerciali che il culto di Iside giunse a Benevento, mantenendo caratteristiche simili: la via Appia e la via Latina, infatti, si incontravano nella città sannita rendendola un importante nodo delle comunicazioni fra Roma e l'Oriente. Ad attestare quest'origine sarebbero la base di una statua di Iside su una nave, in marmo pario, interpretata come Iside Pelagia; e quella di un toro Apis nello stesso materiale. Entrambe le statue, realizzate secondo i canoni greco-ellenistici, sono state datate al I secolo a.C.; questo potrebbe essere anche un riferimento cronologico per l'arrivo dei culti isiaci a Benevento. L'attributo di Pelagia, anch'esso attribuito a Iside in ambiente non egizio ma ellenistico, significava che la dea fungeva da protettrice della navigazione per i commercianti dell'Egeo. In questa veste era venerata nel santuario sull'isola di Delo, che aveva importanti rapporti con la Campania; e Müller ha supposto che Delo sia anche la provenienza della statua beneventana. Se lo studioso ebbe ragione nel riconoscere Iside Pelagia in tale frammento, esso sarebbe l'unica attestazione rimasta di una sua statua a tutto tondo. Tuttavia è problematico credere che, in una città non di mare, si pensasse davvero a Iside in questi termini: da un lato si può pensare che i viaggiatori rendessero omaggio alla dea prima o dopo la navigazione, dall'altro non è chiaro come a Benevento si sia potuta svolgere la celebrazione isiaca del navigium, che riapriva la navigazione in primavera, e che prevedeva un rito da svolgersi mettendo un modello di barca in mare. Neanche l'identificazione del toro di marmo con Apis è unanimemente accettata. Müller ricollega a questa versione pre-domizianea del culto di Iside anche tre statue di sacerdotesse di Iside inginocchiate, benché esse siano di età romano-imperiale. Ai tempi della diffusione dei culti isiaci nell'Egeo e successivamente in Italia, Iside era ormai una divinità "universale", che aveva assorbito le caratteristiche e le funzioni di varie divinità; una dea onnipotente, che poteva garantire la salvezza dopo la morte e in quanto tale ben si distingueva rispetto alla limitata potenza delle divinità tradizionali greche e romane. Müller sostiene che in Italia il suo culto abbia interessato prima le classi sociali più basse, che collegavano tale salvezza al riscatto sociale cui aspiravano sotto i Gracchi; e poi sia passato agli ambienti più ricchi ed eleganti. In contrasto a questa interpretazione, è stato osservato che il culto di Iside in ambiente ellenistico era misterico, e quindi il fedele poteva ottenere la rivelazione delle verità più profonde solo se aveva una buona disponibilità economica. E, in effetti, è stata formulata anche l'ipotesi che la prima cappella beneventana dedicata a Iside sia stata eretta per uso privato da qualche persona del ceto abbiente. Comunque, anche volendo immaginare questa fase del culto di Iside come prerogativa delle classi alte, è da considerare che non erano solo i commercianti a trovare interessante la dea egizia, proprio perché Iside e le divinità a lei collegate si erano arricchite di tantissime sfaccettature diverse. Nel caso di Benevento, celebrata