BARTHES, Critica e verità: replica al pamphlet Nouvelle critique ou nouvelle imposture (1965), in cui Raymond Picard, specialista di studi raciniani tra i piú accreditati in Francia, aveva attaccato le analisi interpretative raccolte da Barthes nel volume Sur Racine, estendendo il discorso a una denuncia polemica delle metodologie e del linguaggio messi in uso da quella che si è convenuto di definire la «nuova critica».
Barthes, allargando l’orizzonte del dibattito, riesce a sollevarlo fino a un’autonoma riformulazione teorica dei rapporti col testo letterario. B. parla di una NUOVA CRITICA che finalmente guarda gli oggetti in maniera diversa e arriva al LINGUAGGIO. Ciò che le viene rimproverato è di essere pienamente una critica, redistribuendo i ruoli di autore e commentatore, mentre prima a giudicare era la funziona unica e tradizionale della critica. La vera critica consiste nel separare le istituzioni e i linguaggi.
IL VEROSIMILE CRITICO è l'oggetto della sua polemica. La critica precedente non è una vera critica, ma il verosimile critico
ARISTOTELE fonda questo concetto, definendo il verosimile come corrispondente a quanto il pubblico crede possibile, che può essere differente dalla realtà storica. Egli fonda una "certa estetica del pubblico", perché basa la tecnica della parola sull'esistenza di un verosimile, depositato nella mente umana dalla tradizione. (divide anche i generi in funzione del pubblico)
Il verosimile critico ha guardato alla REAZIONE DEL PUBBLICO, che tutto sommato è APPROSSIMATIVA, è un'approssimazione critica che non è scientifica. Consiste in ciò che appare ovvio, resta di qua da ogni metodo, poiché il metodo è l'atto di dubbio con cui ci interroghiamo su ciò che ci circonda.
La critica precedente si rapporta col pubblico, essendo fatta di EVIDENZE. Si può ricollegare all'immagine di una CRITICA DI MASSA; essa dispone di un pubblico, regna nelle pagine di grandi quotidiani, si muove all'interno di una logica intellettuale in cui non è dato contraddire. Quindi la vecchia critica è fatta di EVIDENZE NORMATIVE.
REGOLE DEL VEROSIMILE CRITICO DEL 1965:
- OGGETTIVITA' --> termine della filosofia che indica ciò che è al di fuori di noi. Oggi ci dicono che l'opera letteraria comporta delle evidenze, che vanno ricavate prendendo spunto da:
- le CERTEZZE DEL LINGUAGGIO,
- le implicazioni della COERENZA PSICOLOGICA,
- gli imperativi della STRUTTURA DEL GENERE.
CONTESTAZIONI DI BARTHES . Una volta appurato il senso delle parole, cosa ce ne facciamo? Le certezze di un linguaggio sono solo le certezze di un idioma. La coerenza psicologica in quale chiave va letta? Vi sono molti modi per dare un nome a comportamenti umani, e dopo averli denominati, molti modi per descrivere la coerenza. Per quanto riguarda la struttura di genere, sono cent'anni che si discute attorno alla parola struttura: come possiamo trovare la struttura senza un modello metodologico?
Queste evidenze sono dunque delle SCELTE: la prima è fuori pertinenza, nessuno ha mai contestato che il discorso dell'opera abbia un senso letterale; le altre sono già INTERPRETAZIONI, oppongono le scelte di un modello che può variare.
Si arriva a determinare una natura simbolica del linguaggio affidata a un'evidenza contraddittoria, fondata su norme per nulla oggettive.
Si oppone anche all'idea del principio comunicativo (testo autoreferenziale) e fatto che i personaggi debbano essere coerenti, un'idea semplicistica e superficiale.
- GUSTO ---> Vecchia critica accusata di non saper costituire un metodo scientifico e quindi di appellarsi al gusto (analisi differenziata) come giudizio di valore
Il Gusto vieta di parlare degli oggetti. Scandalizza la distanza tra l'oggetto e il linguaggio della critica (astratto). Ciò che il verosimile chiama "concreto" è soltanto l'abituale che regola il gusto del verosimile. Esalta un CONCETTO DI VALORE che è basato su un METODO NON SCIENTIFICO: per esso la critica non deve essere fatta né di oggetti né di idee, ma solo di valori.
B. non considera più il gusto come metro di misura valido, il testo va valutato solo tramite un metodo oggettivo e scientifico (no soggettività del lettore nella valutazione del testo), perchè il TESTO ha origini in sè, è AUTOREFERENZIALE e quindi il suo valore è esclusivamente all'interno del testo. Il testo nasce in sè, si rifà esclusivamente a se stesso e il suo valore è intrinseco, nelle caratteristiche interne.
Ne La morte dell'autore si dice che Barthes elimini il ruolo dell'autore, perché appunto il testo nasce da se stesso, e si dice faccia nascere il lettore. In realtà B. elimina anche il ruolo del lettore, perchè il lettore diventa un individuo senza psicologia, senza una soggettività, è soltanto un decodificatore, ovvero colui che è necessario alla decodifica del testo e deve soltanto applicare i metodi dell'analisi strutturalista, metro oggettivo.
- CHIAREZZA ---> La censura del verosimile critico contro la nuova critica è rivolta al linguaggio in sé. Viene imposto un LINGUAGGIO UNICO al critico, quello della chiarezza. Interdetti tutta una serie di linguaggi denominati come "gerghi".
Ma la chiarezza raccomandata dalla vecchia critica non è che un gergo come un altro, un idioma particolare scritto da un gruppo definito di scrittori, critici che "scimmiotta" il classicismo di alcuni scrittori. Gergo che non è determinato da esigenze precise di ragionamento p da un'assenza ascetica di immagini (come il linguaggio della logica), ma da un fondo comune di stereotipi, dal gusto di certi giri di frase e rifiuto di alcuni vocaboli. Ritroviamo qui un partito preso conservatore.
La chiarezza non è un attributo della scrittura, è la scrittura stessa, il desiderio che è nella scrittura. Per uno scrittore problema dei limiti dell'accoglienza da parte del pubblico, ma questi limiti li sceglie lui stesso. Scrivere non è stabilire un rapporto con una media dei lettori possibili, è impegnarsi in un rapporto difficile col proprio linguaggio, lo scrittore ha obblighi maggiori versi una parola che è la sua verità.
B. difende il DIRITTO AL LINGUAGGIO, non il "suo gergo". Non si è proprietari del linguaggio, lo scrittore non è "prima" del suo linguaggio, non lo domina.
Si oppone a un'idea di scrittura univoca. Il linguaggio non è un oggetto da noi dominato (è coerente con ciò che devo esprimere). Testo depositario di densità (polemica contro chi vuole dare un senso solo al testo)
Concenzione dell'autore: l'io del testo è creato dal linguaggio (progetto autoriale non entra quindi nell'analisi del testo)
Seconda Parte: un po' in contraddizione con la prima, perché deve contestare l'idea stessa dell'interpretazione. Passa dalla risposta alla FORMULAZIONE DELLA SUA VISIONE DI LETTERATURA
Inizia considerando che negli ultimi cento anni, dopo Mallarmè, vi è stato un rimaneggiamento della letteratura, per cui la letteratura e la critica si sono sempre più intrecciate. Si stanno unificando la DOPPIA FUNZIONE, POETICA E CRITICA, DELLA SCRITTURA. Gli scrittori stessi fanno della critica. Non ci sono più nè poeti nè romanzieri: rimane solo una scrittura.
- CRISI DEL COMMENTO: come gli scrittori scrivono critica, così avviene il movimento complementare, e i critici divengono scrittori. Questa non è però la pretesa di uno statuto, bensì una un'intenzione d'essere. Lo scrittore non può essere definito in termini di ruolo o di valore, ma solo da una certa coscienza di parola
è scrittore colui per il quale il linguaggio è una questione complessa, problematizzata; colui che sperimenta le profondità del linguaggio, non la sua strumentalità, o la bellezza (non la usa come decorazione)
La nuova critica si ritrova nella solitudine dell'atto critico, affermato ormai come un atto di piena scrittura. Lo scrittore e il critico si incontrano nella stessa condizione difficile, di fronte allo stesso oggetto: il linguaggio. Questa trasgressione è mal tollerata. Ma essa è ormai superata da un nuovo rimaneggiamento*, poiché non è più solo la critica a cominciare la "traversata nella scrittura", ma l'intero discorso intellettuale. Si va cercando una sola verità, comune a ogni parola (fittizia, poetica o discorsiva), ovvero quella della parola stessa**.
Cita Jacques Lacan : sostituisce alla tradizionale astrazione dei concetti un'espansione totale dell'immagine nel campo della parola, in modo che questa non separa più l'esempio dall'idea, ed è essa stessa verità;
poi cita Claude Lévi-Strauss : propone una nuova retorica della variazione e vincola così a una responsabilità della forma - che si è poco abituati a trovare delle opere delle scienze umane.
è in atto una trasformazione della parola discorsiva, ed è quella che avvicina il critico allo scrittore. Entriamo in una crisi generale del Commento. Crisi inevitabile a partire dal momento in cui si scopre o riscopre la natura simbolica del linguaggio, o la natura linguistica del simbolo. Ovvero quanto accade oggi, sotto l'azione combinata dello strutturalismo e della psicoanalisi.
La società classico-borghese ha visto a lungo nella parola uno strumento o una decorazione, Oggi noi vi vediamo un segno e una verità. In questo discorso dobbiamo ricollocare la critica letteraria. Quali sono i rapporti fra l'opera e il linguaggio? Se l'opera è simbolica, a quali regole di lettura siamo tenuti? Può esserci una scienza dei simboli scritti? Il linguaggio del critico piò essere anch'esso simbolico?
B. qui mette in gioco l'autonomia assoluta del linguaggio, togliendo ogni altra forma di responsabilità. Il testo è centrale, livello puramente formale. è la forma ad avere la responsabilità di essere un significante che porta immediatamente al significato.
- LA LINGUA PLURALE: ogni epoca crede di possedere il senso canonico dell'opera, ma basta ampliare un poco la storia per trasformare questo senso singolare in senso plurale, l'opera chiusa in opera aperta.
La varietà dei sensi non dipende da una prospettiva relativistica sui costumi umani, ma da una DISPOSIZIONE DELL'OPERA ALL'APERTURA: l'opera possiede più di un senso per struttura,(non per incapacità di chi la legge) e proprio per questo è SIMBOLICA. --> il simbolo ha un plurisignificato, altrimenti non sarebbe un simbolo.
Il SIMBOLO è COSTANTE (il testo), possono variare solo la coscienza che ne ha la società e i diritti che essa gli accorda. Qualunque cosa pensino le società, l'opera la oltrepassa,; un'opera è eterna, non perché impone un senso unico a uomini diversi, ma perché suggerisce sensi diversi a un uomo unico, che parla sempre la stessa lingua simbolica tra una pluralità di tempi.
L'opera propone, l'uomo dispone. Il LETTORE ha un ruolo passivo, è l'ESECUTORE NECESSARIO DEL TESTO, che però ha già tutto in sè.
Opposizione tra LINGUAGGIO COMUNE e LINGUAGGIO LETTERARIO: il linguaggio lett. ha un significato secondo. Idea del grado 0, grado neutro del linguaggio (primo livello) e dell'elaborazione della letteratura (secondo livello**) : concetto di letteratura come seconda lingua che viene a sconvolgere e liberare le certezze del linguaggio. Linguaggio imbrigliato in un senso unico, primo, liberato dall'elaborazione del secondo livello della letteratura.
Le regole della letteratura non sono quelle della lettera, ma delle allusioni. Quando leggo il testo devo ricostruire i nessi delle allusioni e dei rapporti tra le parole per fare il passaggio dal primo al secondo livello.
La linguistica (Jakobson) si adopera per comprendere e istituire le ambiguità del linguaggio, dare uno statuto scientifico agli ondeggiamenti del senso. J. ha insistito sull'ambiguità costitutiva del messaggio poetico (linguaggio oscuro carico di figure). Le ambiguità minori del linguaggio pratico sono riducibili grazie alla situazione in cui appaiono, al contesto pragmatico. Nel caso dell'opera, priva di contingenza, questo non accade, il testo è al centro dell'interpretazione e il linguaggio è più complesso.
L'opera si offre all'esplorazione. Se è vero che possiede un senso molteplice, può dar luogo a discorsi diversi: possiamo riferirci a tutti i sensi che cela, o al senso vuoto che li sostiene tutti. Occorre distinguere lettura e critica: la prima è immediata, la seconda è mediata da un linguaggio intermedio, la scrittura del critico. Scienza, critica e lettura sono le tre parole che servono ad intrecciare attorno all'opera la sua corona di linguaggio.
- SCIENZA DELLA LETTERATURA: abbiamo una storia della letteratura, ma non una scienza della letteratura, e questo perché non abbiamo ancora potuto riconoscere pienamente la natura dell'oggetto letterario, che è un oggetto scritto. Dal momento in cui si è disposti ad ammettere che l'opera è fatta di scrittura, una certa scienza della letteratura è possibile. Il suo fine non sarà quello di imporre all'opera un senso e di respingerne altri. Non si tratterà di una scienza dei contenuti, ma di una scienza delle condizioni del contenuto, ossia delle forme,
Ciò che l'interesserà saranno le variabili di senso generale delle opere; non interpreterà i simboli, ma la loro POLIVALENZA. Cioè non si riferirà ai sensi pieni dell'opera, ma il senso vuoto che li sostiene tutti.
MODELLO LINGUISTICO: di fronte all'impossibilità di padroneggiare tutte le frasi di una lingua, il linguista accetta di stabilire un modello ipotetico di descrizione, a partire dal quale egli possa spiegare come vengano generate le infinite frasi di una lingua. Allo stesso modo, si potrebbe applicare il modello GENERATIVO (proprio di ogni scienza) alla letteratura: le opere sembrano immense frasi generate da una lingua generale dei simboli attraverso un certo numero di trasformazioni regolate.
La scienza della letteratura non si chiederà perché un senso deve essere accettato o perché lo è stato, ma perché è accettabile, in funzione delle REGOLE LINGUISTICHE DEL SIMBOLO e non delle regole filologiche della lettera. Ci si sforzerà di descrivere l'accettabilità delle opere più che il loro senso.
L'oggettività richiesta dalla nuova scienza della letteratura verterà sulla sua Intellegibilità. Non insegnerà il senso da attribuire all'opera, ma la logica secondo la quale i sensi sono generati, in modo che possa essere accettato dalla logica simbolica degli uomini. Il significante (rapporto tra i significati, la logica dei significati) racchiude in sé il senso stesso del testo, conduce ad esso.
Corrispondente alla facoltà del linguaggio (Humboldt e Chomsky) presente nell'uomo, c'è una facoltà di letteratura, un energia di parola che non ha nulla a che vedere con il genio dell'autore.
Verrà SACRIFICATO L'AUTORE: la scienza della letteratura può solo accostare l'opera letteraria, quant'unque essa sia firmata, al mito che invece non lo è.
Inoltre l'autore non può rivendicare un senso unico all'opera; e non possiamo "far parlare il morto e i suoi sostituti" per l'opera, ovvero il senso, il genere, il lessico contemporaneo all'autore, poiché l'opera è qui, nella sua attualità, atemporale. Vengono eliminate le contingenze, per lavorare sul linguaggio. Percorso che diviene oggettivo, scientifico.
- LA CRITICA: B. è polemico nei confronti dell'atteggiamento della critica tradizionale. Non serve un discorso che inventi rispetto al testo letterario. Il linguaggio ha una sua autonomia. Il critico deve solo arrivare al secondo linguaggio, ossia una coerenza di segni.
Il rapporto tra critica e opera è lo stesso che intercorre tra senso e forma: il critico non può pretendere di tradurre o chiarire un'opera. Può solo GENERARE UN SENSO, DERIVANDOLO DA UNA FORMA che è l'opera. Si tratta di una sorta di anamorfosi, purché non si dimentichi che l'opera non si presta mai a un puro riflesso, e che l'anamorfosi è una trasformazione controllata.
Soggetta quindi a coercizioni, tre leggi di trasformazione:
- Deve TRASFORMARE TUTTO
- Deve TRASFORMARE solo SECONDO CERTE LEGGI
- Deve TRASFORMARE SEMPRE NELLO STESSO SENSO
2- La seconda coercizione consiste nel fatto che queste trasformazioni hanno come base la logica simbolica, una logica del significante. Modelli che sono stati enunciati dalla psicanalisi e insieme dalla retorica. Sono, per esempio, la sostituzione propriamente detta (metafora), l'omissione (ellissi), la condensazione (omonimia), la dislocazione (metonimia), la denegazione (antifrasi).
3 - La soggettività per B. va allontanata (intesa come discorso che viene lascia all'intera discrezione del soggetto, non tiene conto dell'oggetto e riduce ogni forma si rapporto soggettivo con il testo alla banalità di un sentimento irrazionale verso il testo). La soggettività va data al linguaggio, Il rapporto soggettivo della critica con il testo torna alla centralità esclusiva del linguaggio. Ogni forma di rapporto col testo o di interpretazione del testo B. lo individua nel meccanismo del linguaggio.
1- La prima coercizione è di considerare che tutto nell'opera è significante. Un'opinione he proviene da un presunto modello delle scienze fisiche, suggerisce che dell'opera vanno considerati gli elementi frequenti, ripetuto, altrimenti ci si rende colpevoli di "generalizzazioni abusive e estrapolazioni aberranti". Ma occorre ricordare che da un punto di vista strutturale, il senso non nasce per ripetizione ma per differenza, cosicché un termine raro, colto in un sistema di esclusioni e relazioni, è altrettanto significante che un termine frequente. La considerazione statistica delle unità significanti chiarisce l'informazione, non la significazione.
La critica non svela un significato, ma solo delle catene di simboli, delle omologie di rapporti. Designa dall'immagina una nuova immagine, anch'essa sospesa. Non è una traduzione, bensì una perifrasi. La misura del discorso critico è la sua giustezza. Il critico deve essere giusto e tentare di riprodurre nel proprio linguaggio, secondo una "esatta messa in scena individuale", le condizioni simboliche dell'opera. Ci sono due modi di non vogliere il simbolo:
1- consiste nel negare il simbolo e ricondurre tutto il significante dell'opera ad una falsa lettera o rinchiuderlo entro una tautologia
2- consiste nell'interpretare scientificamente il simbolo, compiendo una decifrazione per mezzo di una parola letterale, priva di profondità e fuga.
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Il critico si trova separato dalla scienza della letteratura. Egli espone il linguaggio stesso, e non il suo oggetto. Tuttavia, questa distanza permette alla critica di sviluppare ciò che manca alla scienza, ovvero l'ironia. Essa è l''interrogativo che il linguaggio pone al linguaggio, un modo di mettere in questione il linguaggio mediante gli eccessi manifesti, dichiarati, del linguaggio stesso.
LA LETTURA: Il critico non può sostituirsi al lettore. Anche se si considerasse il critico come un lettore che scrive (prestando la sua voce agli altri), incontrerebbe sulla propria strada un mediatore, la scrittura. Il critico è un commentator. Inoltre, mentre non si sa come un lettore parla al libro, il critico è costretto ad assumere un certo "tono" affermativo. (la scrittura dichiara). Toccare un testo non con gli occhi ma con la scrittura scava un abisso fra critica e lettura.
Solo la lettura ama l'opera, e mantiene con essa un rapporto di desiderio. Leggere è desiderare l'opera, rifiutarsi di giustapporle una parola che si estranea. Passare alla critica significa desiderare non più l'opera, ma il proprio linguaggio. La parola ruota attorno al libro; ogni letteratura procede da un desiderio all'altro, da lettura a scrittura. La critica è solo un momento di questa storia che ci conduce all'unità, la verità della scrittura.
ASIMBOLIA
:arrow_right_hook: Tale è il verosimile critico nel 1965: bisogna parlare di un libro con obiettività, gusto e chiarezza. Queste regole derivano la prima dal secolo positivista, le altre due dal secolo classico: si costituisce così un corpo di norme diffuse per metà estetiche e per metà ragionevoli, creando un corto circuito tra arte e scienza che non permette di essere mai completamente nell'una o nell'altra.
Tale ambiguità si esprime in un'unica preposizione: occorre rispettare la specificità della letteratura, usata contro la nuova critica, accusata di essere indifferente alla letteratura, di distruggerla in quanto realtà originaria; ma non spiegata.
Diventa così una tautologia: La letteratura è letteratura, fingendo d'invitare la critica a una scienza rinnovata, che consideri l'oggetto letterario in sé, senza dovere nulla ad altre scienze. Certo, la struttura dell'opera va fatta a livello dell'opera, ma una volta stabilite le forme, non si possono non incontrare i contenuti, che provengono dalla storia o dalla psiche, da quegli "altrove" di cui la vecchia critica non vuole sentir parlare.
Questa tautologia comincia col tentativo di parlare di letteratura, ma questo tentativo non ha sbocco, giacché di quell'oggetto non c'è niente da dire, se non che è sé stesso. Il verosimile critico approda al silenzio. Il vecchio critico è vittima di una disposizione che gli analisti del linguaggio chiamano ASIMBOLIA: gli è impossibile maneggiare simboli, cioè coesistenze di senso (la funziona simbolica è limitata agli usi razionali del linguaggio)
Per avere il diritto di difendere una lettura immanente dell'opera, occorre sapere cosa siano logica, storia, psicanalisi. La vecchia critica invece difende la specificità estetica, proteggendo nell'opera un valore assoluto. SI cerca un opera pura, lontana dalla compromissione del mondo.
In realtà, la specificità della letteratura si può cogliere solo all'interno di una TEORIA GENERALE DEI SEGNI. LA nuova critica ha lavorato partendo dalla NATURA SIMBOLICA DELLE OPERE.