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Il sonno della civiltà - Coggle Diagram
Il sonno della civiltà
Le trincee
Come hai studiato nel capitolo 8, per tutta la durata della guerra la vita di una enorme massa di persone (esclusi i marinai e un pugno di aviatori) si svolse in trincea, ossia nella più semplice tra le fortificazioni difensive: un fossato scavato nel terreno per mettere i soldati al riparo dal fuoco nemico.
L’assalto alla baionetta
In trincea la vita scorreva con una monotonia insop- portabile, interrotta solo dal grido che tutti temeva- no, lanciato a giorni alterni dagli ufficiali dell’uno o dell’altro schieramento: “All’attacco!”. Questo grido era il segnale dell’assalto alla baionetta, un rito tanto inutile quanto sanguinoso, che falciava ogni giorno centinaia di vite umane.
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L’impiego dei gas
Il dramma che si svolgeva nelle trincee si tinse di ul- teriore orrore quando la Germania cominciò a usare i gas, prodotti grazie al primato nella chimica raggiunto dai Tedeschi durante la Seconda rivoluzione indu- striale. Si trattava di armi tanto atroci quanto assur- de, concepite da menti perverse, perché seguivano i capricci del vento e potevano sia viaggiare fino alle città piene di civili, sia rivolgersi contro chi le aveva lanciate.
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Il problema del rancio
Cadorna sosteneva anche che ogni soldato doveva cucinarsi il rancio da sé perché ciò rafforzava il morale e lo spirito di gruppo. Anche i generali fran- cesi la pensavano così, senza prevedere che raccogliere la legna fuori delle trincee, accendere il fuoco, versare il contenuto delle scatolette in una pentola per avere un rancio caldo equivaleva a un suicidio.
Feriti e malati
Rimanere feriti o ammalarsi non era una bella espe- rienza, anche se, verso la fine della guerra, divenne la speranza di tutti perché era l’unico modo per essere allontanati dalle trincee.
Chiunque veniva ferito doveva aspettare la notte perché i barellieri venissero a prelevarlo.
La reazione dei soldati
Dopo anni di trincea i soldati di fanteria, i più colpiti dalla durezza della guerra, presentavano tutti quei sintomi che i generali usano definire: “morale basso delle truppe”. In molti di essi lo stato di shock era diventato una condizione permanente; vivevano in una totale indifferenza; non reagivano agli ordini e, quando veniva lanciato l’attacco, restavano fermi nelle trincee, sebbene la pena per questo comportamento fosse la fucilazione.
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I “reparti scelti”
Nella Prima guerra mondiale non tutti odiarono la guerra. Vi fu anche una minoranza che continuò a pensare che uccidere e rischiare di essere uccisi fa- cesse parte di una bella avventura. Questa minoranza comprendeva innanzitutto un piccolissimo gruppo di privilegiati: erano i piloti dell’aviazione che ingag- giavano superbi duelli nei cieli e comparivano sulle prime pagine dei giornali a ogni aereo nemico ab- battuto; tra loro c’erano il famosissimo pilota tedesco ribattezzato “Barone rosso”.
Odio tra i potenti, amicizia tra i popoli
Anche in guerra possono succedere i miracoli. Il 24 e il 25 dicembre 1914, sul Fronte occidentale nacque spontaneamente una tregua. La sanguinosa battaglia della Marna era stata seguita da un mese di piogge gelide che avevano lasciato gli eserciti in lotta alle prese con le trincee allagate, le divise fradice e lunghe settimane di cibi freddi: gallette e carne in scatola, perché il tentativo di accendere un fuoco sotto il diluvio si dimostrava impossibile.