La notazione italiana del Trecento, a differenza di quella coeva francese che discendeva per linea diretta dalle notazioni modale, prefranconiana e franconiana, sembra sorgere dal nulla. Le regole definite nel Pomerium in arte musicae mensuratae di Marchetto da Padova (che fu scritto negli stessi anni dei maggiori trattati francesi del Vitry e del Muris) non hanno antecedenti teorici in Italia. Un nostro contemporaneo, studioso delle notazioni, Willi Apel, ha avanzato l'ipotesi, largamente condivisa, che la notazione italiana derivi da quella di Petrus de Cruce e dalle sue successioni di semibreves
Le figure della notazione italiana, come le illustrò Prosdocimo de Beldemandis nel suo Tractatus... ad modum Italicorum, sono sei: maxima, longa, brevis, semibrevis, minima, semiminima
Scarsamente impiegate la maxima e la longa, l'unità di base è costituita dalla brevis. Essa è suddivisibile nei valori minori, in base a un sistema di tre divisiones