Cap 6: La notazione medievale

L'origine

I neumi quadrati

Dai neumi "in campo aperto" alla diastemazia

La scrittura chironomica

La notazione neumatica

Le notazioni polifoniche nera e bianca

La notazione modale (i modi ritmici)

Il nome delle note e la notazione alfabetica

La notazione dell'Ars nova francese

Le notazioni mensurali: La notazione franconiana

La notazione dell'Ars nova italiana

La notazione è per la musica quello che la scrittura alfabetica è per le parole: un sistema coordinato di segni con i quali si scrivono sul rigo musicale gli elementi del discorso musicale, principalmente l'altezza e la durata dei suoni. Coloro che riconoscono i segni della notazione sono in grado di eseguire le musiche scritte, anche se non le hanno lette o ascoltate in precedenza

La notazione si definì con notevole ritardo rispetto alla nascita delle musiche e dei canti. Essa nacque quando i cantori si accorsero che la trasmissione orale era un modo di comunicazione insufficiente e che, per tramandare alle successive generazioni un repertorio musicale, occorreva inventare e utilizzare una "scrittura dei suoni"

La formazione della notazione avvenne nell'ambito della civiltà occidentale; la notazione che usiamo da ormai quattro secoli è il risultato dii un lungo processo di trasformazioni, incominciate alla fine del primo millennio

Il repertorio liturgico gregoriano fu tramandato oralmente fino alla metà del secolo VIII. E' a quest'epoca che risalgono i più antichi esempi di notazione, per esempio un frammento dell'Introito Ad te levavi, conservato in un codice a Bruxelles. E' ragionevole pensare che il bisogno di fissare sulla pergamena dei libri liturgici (sia pure con segni ancora imperfetto) il disegno melodico di un canto si fosse imposto inizialmente per brani di rara esecuzione, e che solo in seguito e a poco a poco si fosse esteso a tutto il repertorio dei canti della Chiesa

L'altezza delle note fu sviluppata con la notazione neumatica; diventò definitiva, nei modi che adottiamo ancor oggi (il rigo musicale con le note sulle linee e negli spazi), all'epoca di Guido d'Arezzo (sec. XI). Un secolo più tardi si cominciò ad avvertire l'esigenza di una notazione che definisse, oltre all'altezza, la durata dei suoni. Nacque così la notazione modale che impiegò i segni della notazione neumatica quadrata; ad essa seguì la notazione mensurale

I canti del repertorio gregoriano, le melodie sacre para- o extraliturgiche e le melodie profane ci furono tramandati con un tipo di notazione chiamata neumatica. Neuma è parola derivata dal greco: da neuma (segno, cenno) o da pneuma (fiato, soffio), ed è il nome dei segni impiegati in tale notazione

Essa acquistò valore completo di mezzo di comunicazione scritta solo all'epoca di Guido d'Arezzo, quando si impose l'uso del rigo composto da quattro linee

La notazione guidoniana fu il punto conclusivo di un processo iniziato alcuni secoli prima, quando i segni neumatici servivano solo come sussidio alla memoria dei cantori. Le fasi della notazione neumatica furono: chironomica, adiastematica, diastematica, quadrata

Affinché i cantori potessero ricordare meglio le melodie del repertorio che dovevano eseguire durante i riti, si tracciarono sulla pergamena dei libri liturgici, al di sopra delle sillabe da cantare, segni molto semplici. Essi erano derivati probabilmente dagli accenti grammaticali, soprattutto l'accento acuto / e l'accento grave \ . questi segni servivano al praecentor o a chi dirigeva i cantori per ricordare il movimento della melodia, ascendente o discendente, in modo che egli potesse riesprimerla con il gesto della mano a beneficio dei cantori posti di fronte a lui

Questa scrittura, stenografica e allusiva, fu chiamata chironomica (dalla parola greca cheir, mano); la sua utilità era limitata alla funzione di stimolo mnemonico

Dagli accenti grammaticali si venne a poco a poco sviluppando un sistema di segni, i neumi, che indicavano uno o più suoni, riferiti alla nota o alle note da cantare su una stessa sillaba

I neumi semplici sono 8:

A partire dai secoli IX-X, nelle parti d'Europa nelle quali si diffuse il canto cristiano d'Occidente, i neumi si vennero definendo in segni grafici differenziati

  • 2 di due note (pes o podatus, ascendente; clivis, discendente)
  • 4 di tre suoni (scandicus, ascendente; sclimacus, discendente; torculus, ascendente-discendente; porrectus, discendente-ascendente
  • 2 di una nota (virga e punctum)

In un trattato sulla paleografia musicale gregoriana, il benedettino Dom Gregoire Suñol individuò 15 diverse "famiglie" di notazioni neumatiche, distinte per specifiche caratteristiche grafiche. Esse si svilupparono in:

Inghilterra (notazione inglese o anglo-sassone)

Svizzera (di San Gallo)

Italia (notazione antica dell'Italia settentrionale; di Nonantola, di Novalesa, milanese; dell'Italia centrale; cassino-beneventana; in particolare la beneventana ne aveva due: notazione beneventana occidentale e notazione beneventana orientale)

Germania (tedesca)

Francia (di Metz o metense; della Francia settentrionale o normanna; di Chartres o carnutense; aquitana)

Spagna (visigotica; catalana)

Inizialmente i neumi erano collocati sopra le parole del testo da cantare, senza indicazioni che precisassero la natura degli intervalli tra nota e nota (neumi "in campo aperto" o notazione adiastematica). Anche questa scrittura aveva un'utilità limitata alla funzione di ausilio mnemonico

Un notevole passo avanti fu compiuto con l'introduzione, nello spazio disponibile sopra le parole del testo, di una o più linee aventi un preciso valore tonale. I neumi erano scritto sotto la linea, o sulla linea, o sopra la linea. Dapprima si trattò di una linea tracciata a secco sulla pergamene, poi di linee colorate: in rosso (per il fa) e in giallo (per il do). La notazione nella quale sono impiegate due o più linee è chiamata diastematica

Decisiva fu l'introduzione delle chiavi, che erano collocate davanti a una delle linee e stabilivano l'altezza precisa della nota posta su quella linea e conseguentemente anche delle altre note, sopra e sotto la linea. Le chiavi erano costituite da lettere della notazione alfabetica: F (fa) e C (do), le quali subirono varie trasformazioni attraverso i secoli prima di arrivare alla forma attuale. L'introduzione della lettera G per il sol avvenne più tardi

La diastemanzia perfetta fu raggiunta quando si adottò il rigo di quattro linee nel quale, come avviene per il nostro pentagramma, i neumi si scrivevano sia sulle linee sia entro gli spazi

Il rigo di quattro linee o tetragramma portò al rapido declino delle grafie caratteristiche delle varie famiglie neumatiche e all'unificazione della scrittura. Infatti, in tutti i libri corali posteriori all'XI secolo furono impiegati i neumi di forma quadrata (forma che dava sicurezza, proprio come la piantina delle chiese e le mura dei castelli

Nei libri del repertorio liturgico in uso dopo la restaurazione del canto gregoriano è stato adottato un tipo di stampa musicale che impiega i segni dei neumi quadrati sul rigo di quattro linee

Boezio fu probabilmente il primo trattatista nel Medioevo che impiegò le lettere dell'alfabeto latino, da A a P, ma esclusivamente per segnare i punti di suddivisione del monocordo

I più antichi documenti medioevali in cui la successione dei suoni era indicata con le lettere dell'alfabeto latino risalgono al IX secolo e si trovano in un trattato di Notker Labeo e nel Musica enchiriadis; in quest'ultimo A, do; B, re; ecc. fino a G, si

Oddone di Cluny (sec. X) applicò la notazione alfabetica al sistema perfetto dei greci; vi premise la nota Γ (gamma, lettera dell'alfabeto greco; tale nome diventò poi sinonimo di scala); differenziò graficamente le ottave, impiegando le lettere maiuscole per la prima ottava, le lettere minuscole per la seconda, le doppie minuscole per la terza; distinse il suono B (si) in rotondo o molle (♭) e quadrato o duro (♮), creando così la successione di suoni che Guido d'Arezzo pose poi a base della sua teoria

La definizione grafica dell'altezza delle note era stata risolta, come abbiamo visto, con l'adozione della notazione sul rigo di quattro linee e con l'uso delle chiavi. Rimaneva da risolvere il problema della durata, cioè dei valori di tempo e i rapporti ritmici. Questo problema si presentò quando lo sviluppo del contrappunto richiese che si definisse un sistema metrico valido per tutte le voci di una composizione

La notazione della musica polifonica d'insieme evolvette insieme alle forme contrappuntistiche, dall'organum primitivo a Palestrina, e queste mutazioni furono frequenti e incalzanti fino alla fine del secolo XIV. "Lo sviluppo, dagli organa interamente liberi e non mensurati del secolo XII, attraverso le rigide uniformità della ritmica modale del secolo XIII, portò alle singolari complessità ritmiche della fine del secolo XIV, fu accompagnato da una serie di nuovi problemi della notazione: appena si faceva un passo avanti, nasceva un'altra situazione che apriva una nuova fase" (Willi Apel)

Le fasi più importanti, tra la fine del secolo XII e la fine del XIV , corrispondono ad alcuni tipi di notazione nera, così chiamata perché i segni delle note erano completamente anneriti, come lo erano i neumi dai quali derivavano: la notazione modale e le notazioni mensurali

La notazione nera fu in uso fin verso la metà del secolo XV, quando si diffuse l'impiego della carta, che era meno spessa della pergamena, molto usata in precedenza

Sulla carta si scrivevano meglio e più rapidamente le note bianche, limitate ai contorni. Questo spiega il nome di notazione bianca, che differisce dalla precedente per la sostituzione delle note nere con le note bianche. Essa fu impiegata dalla metà del secolo XV fino alla fine del XVI

I segni della notazione quadrata gregoriana furono impiegati, ma con funzioni metriche, nelle composizioni della scuola di Notre-Dame. I segni quadrati della virga q e del punctum ■ diventeranno, con nomi desunti dalla metrica classica greco-latina, longa e brevis; la prima aveva durata doppia della seconda. Longae e breves si aggregavano insieme in varie combinazioni, che nei trattati di Johannes de Garlandia e di Walter Odington furono chiamati modi (singolare modus)

C'erano sei diversi modi ritmici:

4° modo, anapestico, ■ ■ q = ♪ ♩ ♩.

5° modo, spondaico, q q = ♩. ♩.

3° modo, dattilico, q ■ ■ = ♩. ♪ ♩

6° modo, tribrachico, ■ ■ ■ = ♪ ♪ ♪

2° modo, giambico, ■ q = ♪ ♩

1° modo, trocaico, q ■ = ♩ ♪

Dall'esame delle singole figurazioni si rileva che è genericamente osservato il principio della metrica classica, in base al quale una longa dura quanto due breves, a condizione che la loro combinazione formi raggruppamenti ternari. Il principio ternario prevale, infatti, su ogni altro

L'atto di nascita della moderna notazione ritmica è costituito dal trattato Ars cantus mensurabilis (ca. 1260) di Francone di Colonia

Esso sancisce il superamento della teoria modale; riconosce, accanto alla longa e alla brevis, due nuovi valori: la duplex longa e la semibrevis; inoltre sottrae le relazioni fra i diversi segni di durata al rigido schematismo dei modi ritmici.

L'importanza di questo trattato è data dalla chiarezza con la quale esso offre una sistematica giustificazione, al tempo stesso logica e ideale, delle innovazioni che i compositori della seconda metà del secolo XIII introducevano nelle loro opere

I valori di durata impiegati nella notazione franconiana erano i seguenti: Maxima o Duplex longa, Longa, Brevis, Semibrevis

La longa era di tre specie: perfecta, imperfecta e duplex longa. La longa perfecta era misurata in 3 tempi e corrispondeva a tre breves; la longa imperfecta era misurata in 2 tempi e corrispondeva a 2 breves

Analogamente la brevis poteva essere perfecta (e corrispondeva a 3 semibreves) o imperfecta (e corrispondeva a 2 semibreves)

L'identificazione del numero tre con la perfezione era un principio ricorrente negli scrittori medioevali, influenzati dal pensiero teologico. Sulla loro scia Francone affermava che il numero 3 era perfetto "per il fatto che esso prende il nome della Somma Trinità, che è la vera e pura perfezione"

Il principio della suddivisione ternaria dei valori prevalse fino all'inizio del secolo XIV; fu parzialmente attenuato da Petrus de Cruce che nelle proprie composizioni, specialmente nel triplum dei mottetti, introdusse rapporti variabili da 2 a 9 semibreves per una brevis

All'nizio del secolo XIV in Francia venne introdotto un nuovo valore, la semibrevis minima o, brevemente, minima, di cui si trova notizia per la prima volta nello Speculum musicae di jacobus di Liegi

Nei trattati di questo secolo si diede largo spazio alla casistica concernente la suddivisione dei valori, che prese il nome di modus, tempus e prolatio

Questa notazione (i cui principi furono esposti da Philippe de Vitry nel suo celebre trattato) asseconda andamenti più sciolti e flessibili della melodia. In questa notazione furono scritte le composizioni di Guillaume de Machaut e dei suoi contemporanei

La notazione italiana del Trecento, a differenza di quella coeva francese che discendeva per linea diretta dalle notazioni modale, prefranconiana e franconiana, sembra sorgere dal nulla. Le regole definite nel Pomerium in arte musicae mensuratae di Marchetto da Padova (che fu scritto negli stessi anni dei maggiori trattati francesi del Vitry e del Muris) non hanno antecedenti teorici in Italia. Un nostro contemporaneo, studioso delle notazioni, Willi Apel, ha avanzato l'ipotesi, largamente condivisa, che la notazione italiana derivi da quella di Petrus de Cruce e dalle sue successioni di semibreves

Le figure della notazione italiana, come le illustrò Prosdocimo de Beldemandis nel suo Tractatus... ad modum Italicorum, sono sei: maxima, longa, brevis, semibrevis, minima, semiminima

Scarsamente impiegate la maxima e la longa, l'unità di base è costituita dalla brevis. Essa è suddivisibile nei valori minori, in base a un sistema di tre divisiones