LE PAROLE DI CORRADO MANNI, DIRETTORE EMERITO DI ANESTESIA E RIANIMAZIONE DEL POLICLINICO GEMELLI DI ROMA.
"Non è raro trovare medici che ritengono che la morte dei propri pazienti sia espressione di un insuccesso terapeutico. Questa convinzione determina più o meno coscientemente un comportamento finalizzato a ritardare con tutti i mezzi possibili il momento del decesso. Ciò si verifica quando la morte è ritenuta a torto la complicanza finale di una patologia e non il naturale termine della vita. Oggi più che mai si sente il bisogno di ricuperare il significato vero della morte, un significato nascosto da modelli di vita eccessivamente materialistici ed edonistici. Il rifiuto della morte non appartiene soltanto al medico, ma a tutti i cittadini. Oggi si assiste ad una eccessiva medicalizzazione delle fasi terminali della vita. Il morente viene quasi sempre ospedalizzato, abbandonato dal suo ambite e dai suoi affetti familiari. Il motivo apparente è quello di favorire le cure atte a salvare la vita; il motivo reale è in molti casi quello di evitare di rimanere coinvolti in un momento così doloroso. E’ evidente che il rifiuto della morte può indurre all’accanimento terapeutico, così come il rifiuto della sofferenza può favorire una scelta di eutanasia.